«Morì in pista, indagini lacunose»

Martedì 5 Marzo 2019
«Morì in pista, indagini lacunose»
LA SENTENZA
CORTINA «Una lettura non puntuale delle carte processuali», del giudice di primo grado. «Un cono d'ombra» nelle indagini. E tanti «tasselli mancanti e non concludenti della ricostruzione». Dura la sentenza dei giudici della Corte di Appello di Venezia per la morte di Andrea Rossato, il piccolo sciatore mestrino morto il 5 marzo 2011 a 9 anni sul Canalino del Canalone, esattamente 8 anni fa. È come un macigno. Ma non sugli imputati che sono stati assolti in secondo grado «perché il fatto non sussiste». Bensì su chi indagò e chi decise la condanna in primo grado.
IL CASO
Resta così senza colpevoli la morte di Andrea Rossato che, a soli 9 anni era già una promessa dello sci e vestiva i colori dello Sci Club Nottoli di Vittorio Veneto. Il 5 marzo 2011, dopo le gare, finì contro un albero mentre scendeva con amici lungo il Canalino del Canalone sulle Tofane, a Cortina d'Ampezzo. La sentenza di primo grado venne pronunciata in Tribunale a Belluno dalla presidente Antonella Coniglio a marzo 2016, dopo 5 anni dalla morte del bambino. Vennero condannati a un anno di reclusione ciascuno per omicidio colposo il gestore dell'impianto, il 74enne Luigi Pompanin di Cortina presidente dell'Ista spa e l'accompagnatore del piccolo Andrea, l'ingegnere mestrino cinquantenne Giuseppe Bisotto. Il giudice condannò anche a un maxi-risarcimento danni di 2 milioni di euro (non immediatamente esecutivi) ai famigliari di Andrea. Il responsabile civile, il Gruppo Generali, versò 300mila euro e fermandosi su quella cifra si trovò poi un accordo con la famiglia che ha pesato anche nella decisione di Appello. La morte di Andrea venne considerata inizialmente della Procura di Belluno come un incidente senza colpevoli e non ci furono subito indagati. Per questo il corpo del piccolo venne cremato. Solo qualche tempo dopo, quando i famigliari scoprirono che in quel punto, un mese prima, un altro sciatore finì contro il larice, partì la querela con richiesta di indagini. Ma si perse tempo e tasselli preziosi che ora mancano.
IL CONO D'OMBRA
I giudici di secondo grado della Terza sezione penale della Corte di Appello di Venezia scrivono nelle motivazioni della sentenza, depositate in questi giorni: «Non è stata a suo tempo effettuata alcuna autopsia sul cadavere del bambino, per cui la causa precisa della morte è rimasta sconosciuta. Né il grave trauma toracico rilevato nella visita necroscopica, che evidenzia solo gli effetti della caduta, risolve in modo certo le ragioni di quel decesso». E l'autopsia, purtroppo, quando arrivò la denuncia dei genitori non poteva più essere fatta, visto che il corpo era stato cremato. «Le stesse modalità della fuoriuscita dalla pista - prosegue la Corte d'Appello - e del perché il piccolo Andrea, in quel frangente abbia perduto gli sci, sono elementi rimasti avvolti in un cono d'ombra, poiché nessuno ha assistito a quanto successo e i pochi dati raccolti non hanno consentito di pervenire a conclusioni». E la Corte non ne risparmia nemmeno al giudice di primo grado: «Ma, a parte le non superate incertezze che gravano su questi passaggi, va sottolineato come la premessa su cui poggia l'intera motivazione sia frutto di una lettura non puntuale delle carte processuali».
Per anni i genitori, con gli avvocati Anna Zampieron (prematuramente scomparsa) e Renzo Fogliata hanno lottato per avere la verità sulla morte del loro figlio. Dall'altra parte però anche gli imputati l'ampezzano Pompanin, con l'avvocato Paolo Ghezze e l'ingegnere veneziano Giuseppe Bisotto hanno lottato per dimostrare la loro innocenza. Nel ricorso l'avvocato Ghezze ad esempio ha sempre sottolineato come il bambino non sarebbe finito contro il larice, che non riportava alcun segno e che in ogni caso l'autopsia era imprescindibile, anche perché non sono improbabili morti improvvise nello sport. Una battaglia che però non ha avuto alcun vincitore perché la morte del piccolo Andrea resterà per sempre un mistero.
Olivia Bonetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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