IL PERSONAGGIO
Si chiamava Barbara Strozzi, un nome più che mai fiorentino,

Mercoledì 13 Novembre 2019
IL PERSONAGGIO
Si chiamava Barbara Strozzi, un nome più che mai fiorentino, ma lei era veneziana, venezianissima, nata nella parrocchia di Santa Sofia il 6 agosto 1619, giusto quattrocento anni fa, insomma. È una delle otto musiciste neglette biografate nel libro di Anna Beer, docente di letteratura a Oxford, Note dal silenzio. Le grandi compositrici dimenticate della musica classica (Edt). È l'unica veneziana ed è stata uno dei più importanti musicisti della prima metà del Seicento, in seguito destinata a finire nel dimenticatoio come troppo spesso accade per le figure eccellenti di sesso femminile.
La mamma di Barbara è una certa Isabella Grega, detta anche la Greghetta; un poema contemporaneo omaggiava una cortigiana «la Grega, detta anche la Greghetta». La possibilità che si tratti della stessa persona è molto forte. Il padre, secondo il registro delle nascite, è ignoto. Ma la bambina vivrà a casa di Giulio Strozzi, tanto da esserne adottata e prenderne il cognome. L'uomo era figlio illegittimo di uno Strozzi nobilissima famiglia fiorentina è un intellettuale, un poeta, uno dei più prolifici librettisti del primo Seicento, e un libertino che fa parte dell'Accademia degli Incogniti, uno dei più importanti cenacoli intellettuali dell'intera Europa di allora. Non si sa se lo Strozzi fosse suo padre, ma la possibilità è molto forte. Comunque Giulio nomina Barbara sua erede, particolarità tutta veneziana, questa, che permetteva alle donne di ereditare.
LA CARRIERA DIMENTICATA
Barbara studia con uno dei maggiori compositori seicenteschi, Pier Francesco Cavalli, originario di Crema, nonché cantore, organista e infine maestro di cappella, della chiesa di San Marco. «Alla Strozzi sono attribuite otto collezioni di brani musicali (la quarta è perduta, ma si suppone fosse dedicata al duca di Mantova): tutte sono dedicate nel frontespizio a mecenati e protettori diversi», scrive Valeria Palumbo, giornalista attenta alle tematiche femminili, nella voce dedicata alla musicista nella Enciclopedia delle donne. «Vuol dire che Barbara», continua Palumbo, «che, per numero di composizioni, è stata la prima compositrice di cantate di tutto il Seicento, non ebbe un committente fisso. Nel 1644, la Strozzi pubblicò il suo primo libro Madrigali, per due e fino a cinque voci, e lo dedicò a Vittoria delle Rovere, granduchessa di Toscana. I testi erano di Giulio Strozzi. Nel 1651 uscì un volume di Cantate, arie e duetti, dedicato a Ferdinando III d'Asburgo e ad Eleonora Gonzaga-Nevers, in occasione del loro matrimonio. Il terzo volume, 11 Cantate, ariette a una, due e tre voci, è del 1652. Il quinto volume è una collezione di musiche sacre, Sacri musicali affetti (1653), con quattordici composizioni dedicate ad Anna d'Austria, reggente di Francia sino al 1651, ma ancora potentissima a corte e sulla ribalta internazionale. Nella raccolta, per inciso, solo il Salve Regina era scritto per usi liturgici. Il sesto volume (1657) e il settimo (1659) sono collezioni di cantate e arie a una sola voce. L'ottavo è intitolato Arie. Altre composizioni della Strozzi furono inglobate in antologie pubblicate nella seconda metà del Seicento. E questa è una fortuna, perché gran parte delle composizioni di donne non si sono salvate in quanto nessuno le ha trascritte. In totale, in vita, Barbara pubblicò 125 brani di musica vocale».
LA STIMA CONTEMPORANEA
Spiega Marco Rosa Salva, musicista veneziano specializzato nel periodo barocco: «Si tratta di una compositrice di primo livello, certo non inferiore al suo maestro Francesco Cavalli. È ovviamente molto importante il fatto che sia una delle poche donne compositrici del Seicento ad aver pubblicato le musiche, dedicandole a nobili potenti e famosi e facendo sì che circolassero per le corti europee. Era possibile, soprattutto a Venezia, che una donna facesse carriera come cantante professionista, molto più difficile che le venissero riconosciute le doti intellettuali che permettevano di comporre, ritenute invece prerogative maschili. L'accademia che il padre adottivo Giulio Strozzi promosse, prima accademia veneziana dedicata per statuto alla musica, fu fatta forse proprio per dare notorietà in ambiente intellettuale a Barbara, la fanciulla apriva le sedute col suo canto. Dal punto di vista musicale la produzione della Strozzi è quasi tutta dedicata all'aria da camera, presumibilmente lo stesso tipo di composizioni che ella stessa cantava. Si tratta di un repertorio concepito per un pubblico selezionato come poteva essere un circolo di intellettuali, dove le sottigliezze del testo (a volte concettosissime e barocchissime costruzioni barocche, a volte arguzie ironiche; forse c'era lei stessa tra gli autori dei testi) sono rivestite di musica e amplificate con le tecniche della retorica musicale il cui caposcuola è Claudio Monteverdi. Non per caso non fu mai coinvolta nell'opera contrariamente a Giulio Strozzi che senza dubbio era il genere più in voga a Venezia, ma meno alto dal punto di vista intellettuale».
IL DUBBIO DELL'AUTRICE
Anna Beer, e con lei chi si è occupato di Barbara Strozzi, si domanda se la musicista fosse anche una cortigiana, complice un dipinto eseguito attorno al 1630 (oggi conservato a Dresda) che la ritrae con un décolleté profondissimo, tanto che uno dei seni è quasi completamente scoperto. In realtà al tempo i confini erano molto labili. Sicuramente, lo spiega Palumbo, la musicista era donna dagli amori molto liberi, non trascurando nemmeno i cantanti eunuchi. Se poi ricavasse denaro dai rapporti amorosi non lo sappiamo e alla fin fine poco conta. I seni scoperti, all'epoca non erano prerogativa delle cortigiane. Cesare Vecellio, nel suo Degli habiti antichi e moderni (1590), descrivendo l'abito delle gentildonne veneziane, afferma che il corpetto rimane basso e aperto in modo che «quasi si vedono tutte le mammelle». Il viaggiatore inglese Thomas Coryat annota (1608): «Quasi tutte le donne, sposate, vedove e ragazze da marito, vanno in giro col seno tutto scoperto, molte scoprono anche le spalle quasi sino a metà della schiena». La moda di scoprirsi entra persino nei conventi; testimonia un documento seicentesco: «Vestono alcune monache più lascivamente con ricci, con petti scoperti».
Comunque la fama del décolleté della musicista travalicava i confini veneziani. Il 24 aprile 1655 il conte Antonio Bosso, ambasciatore a Venezia del duca di Mantova, Carlo II di Gonzaga-Nevers, scrive al suo signore che la Strozzi ha dedicato una composizione all'arciduchessa «di Spruc» (forse Innsbruck) e questa la ha ricompensata regalandole un gioiello, un pendente da petto con oro con rubini che, dice Bosso, la Strozzi pone «in mezzo alle sue due belle tettine». E poi si lascia andare a un apprezzamento scrivendo al duca: «o' che tette». Tutto questo però, né la sua abilità di musicista, evitano che Barbara Strozzi muoia nel 1677 a Padova, povera e dimenticata.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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