Caverzan e la Fabula Veneta Venti intellettuali a confronto

Giovedì 22 Ottobre 2020
IL LIBRO
Un libro che è un po' un'antologia, un po' un censimento e un po' un omaggio. Fabula Veneta del giornalista e blogger Maurizio Caverzan (Apogeo Editore, euro 18), raccoglie le interviste a venti scrittori, poeti ed editori veneti e pubblicate negli ultimi anni sul quotidiano La Verità. E così, quello che inizialmente sembrava un progetto venuto su spontaneamente, come una piantina sul ciglio della strada, si è rivelato l'occasione per l'autore, ma anche per i suoi interlocutori, di farsi qualche domanda. Esiste una geoletteratura veneta? Si può definire un orizzonte comune, uno sfondo su cui si inseriscono i suoi scrittori?
«Una comunità degli scrittori veneti non c'è. Tuttavia qualcosa di comune ce l'hanno e, a mio avviso, è proprio la capacità di relazionarsi con il mondo esterno, di riflettere i cambiamenti della società e di trarne spunto per scrivere» commenta Maurizio Caverzan. «In questo senso, forse azzardando, potremmo dire che sono scrittori sociali. Non sono autoreferenziali, narcisisti, ombelicali, ripiegati su loro stessi e la loro psiche e che si legittimano nella cosiddetta autofiction. Sono autori che guardano fuori dalla finestra, che raccontano il cambiamento del mondo in cui vivono. Scriverebbero in maniera diversa se vivessero a Catanzaro o a Pisa».
PANORAMA LETTERARIO
Il tramonto della società contadina e dei suoi valori, inclusi quelli religiosi, è il grande discrimine tra le diverse generazioni. «Ferdinando Camon si definisce uno scrittore che narra la fine del mondo contadino. Anche Ferruccio Mazzariol viene da quel mondo. La generazione successiva di Gianfranco Bettin, Vitaliano Trevisan, Francesco Maino esprime un Veneto post-industriale, alla ricerca di una nuova identità, Romolo Bugaro un Veneto che, dopo aver scollinato la vetta del benessere, è entrato in una nuova crisi, forse più nichilista». Se dunque un minimo comune multiplo geoletterario si può intravvedere, permangono comunque dei forti tratti distintivi, orgogliosamente difesi. «Sì, ognuno è geloso della propria specificità e sensibilità. Ma questo è connaturato al lavoro dello scrivere» conferma l'autore. Fatto sta che questo sasso gettato nello stagno ha spinto Ferdinando Camon a lanciare l'idea di rifondare l'Associazione Scrittori Veneti, una sorta di società letteraria o di casa comune per unire le forze e sconfiggere la solitudine. Una proposta attuabile o un'istanza di stampo romantico, anacronistica? «Quella di Camon è una provocazione coraggiosa e consapevole. Qualcuno può ritenerla ingenua, pensando alla scelta di isolamento di alcuni scrittori» risponde Caverzan. «Ma credo che nessuno pensi neanche lontanamente di incasellarli. So che molti, anche al di là degli intervistati nel libro, hanno accolto con entusiasmo l'idea. Peccato che non si siano espressi anche pubblicamente. Per me Camon è un'autorità morale e letteraria, perciò mi aspettavo che qualcuno replicasse, anche magari per bocciare l'idea. O che il giornale che l'ha ospitata ci credesse e gli desse un seguito. Ma così non è stato» Comunque sia, le interviste di Caverzan ci consegnano venti ritratti, a tratti inediti e mai scontati. «Sono felice di aver fatto questi incontri, di aver conosciuto queste persone così interessanti. Il più intenso e drammatico? Sicuramente quello con Nico Naldini nella sua casa-rifugio a Treviso. Inizialmente scostante, si è poi lasciato andare ai ricordi e ai racconti: Pasolini, Comisso, Parise, l'amicizia con Fellini. Lucidissimo nella sua solitudine senza appigli. È morto pochi giorni prima dell'uscita del libro».
Laura D'Orsi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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