Mistro triplica «La crisi si batte con la qualità»

Venerdì 26 Agosto 2016
Mistro triplica «La crisi si batte con la qualità»
Mistro: allora investire in centro storico conviene ancora.
«Io parlo per il mio settore, la ristorazione. Negli ultimi anni abbiamo assistito all'apertura di tanti locali che dopo sei mesi, un anno al massimo, hanno chiuso. Quasi tutti erano gestiti da gente non preparata oppure che non aveva ben riflettuto se valesse veramente la pena di aprire in un determinato posto piuttosto che in un altro. E poi c'è chi si è fatto ammaliare dall'idea che a Treviso fosse facile fare soldi».
Veramente c'era questa convinzione?
«Sì. Per molto tempo, in altre province, c'era la convinzione che a Treviso si stesse talmente bene da non esserci problemi, che la gente spendesse senza troppi pensieri e che si potesse fare soldi semplicemente aprendo un locale. Poi si sono accorti che le cose non stanno così».
Tutta colpa della crisi.
«Fino a un certo punto. Nella ristorazione, anche durante il periodo più duro della crisi, chi ha puntato sulla qualità ha lavorato. Del resto chi una volta andava a mangiare fuori anche cinque volte la settimana, in tempo di ristrettezze ha ridotto le uscite a due. Ma quelle due volte però vuole qualità e professionalità. E chi sa garantirle, vince. Negli ultimi dieci anni a Treviso ha resistito solo chi ha saputo dare qualcosa in più puntando sulla qualità. Il resto è stato espulso dal mercato».
Quindi Treviso è appetibile, a patto di avere le idee chiare.
«È così. E poi, adesso, è anche un momento favorevole. Siamo alla vigilia dell'apertura della mostra di Goldin, poi ci sarà l'adunata degli Alpini e altre manifestazioni volute dalla giunta comunale. Tutto questo potrebbe veramente essere un toccasana per il nostro settore ma anche per l'intero mondo del commercio».
Lei ha puntato sul Cavallino, locale che ha un suo posto ben specifico nella storia di Treviso ma chiuso da molti anni. È amante del rischio?
«Non sono stato il primo a tentare di prendere il Cavallino. Prima di me ci hanno provato altri cinquanta imprenditori, ma il proprietario dello stabile ha sempre detto di no perché voleva preservare la tradizione trevigiana. Avrebbe potuto cedere e aprirci un ristorante cinese o un punto ristoro di qualche grande catena americana. Invece gli è piaciuto il mio progetto basato sulla cucina tradizionale. Ma ho dovuto faticare non poco per convincerlo, gli sono stato dietro almeno sei mesi. È ovviamente una sfida, ma ci credo».
Però apre in un punto che è pur sempre ai margini del centro storico, dall'altra parte della città rispetto anche alla zone della mostra.
«Ma la gente va fuori provincia per mangiare il pesce, oppure va nel padovano per il bollito o sul Montello per i funghi: noi portiamo tutto questo qui. E contiamo che vengano a trovarci. E poi le sfide mi piacciono: nella mia carriera ho sempre puntato su locali storici in decadenza. Ho preso il Caffè Teatro quando era chiuso e nessuno lo voleva; la Colonnetta su cui nessuno metteva mano da trent'anni; il bar Borsa chiuso da un anno. Adesso il Cavallino, per i prossimi dodici anni, tornerà un ristorante tipico».
A proposito del bar Borsa: che fine farà?
«Ovviamente rimane. Ma il suo destino è legato a cosa farà la Camera di Commercio, noi siamo in affitto. Se, come si sente in giro, verrà venduto tutto l'immobile per noi diventa tutto incerto. Dipenderà da chi compra. Staremo a vedere».
E il menù dell'inaugurazione del Cavallino?
«Un classico: risotto con i "durei", bigoli in salsa, gnocchi con il baccalà alla Vicentina, seppie in umido. La cucina della tradizione sarà il nostro punto di riferimento».

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