Le cosche a processo «Temo che la vicenda non sia ancora finita»

Mercoledì 27 Novembre 2019
MAXI INCHIESTA
TREVISO «Eravamo piombati all'inferno e parlare con le forze dell'ordine e denunciare è stata la nostra liberazione». Gli investigatori l'hanno definita donna - coraggio. Lei è Mariagiovanna Santolini, l'imprenditrice trevigiana finita assieme al marito Stefano Venturin fra i tentacoli della cosca cutrese Grande Aracri dei fratelli Sergio e Michele Bolognino. Ieri, dopo la notifica a 54 indagati degli avvisi di conclusione delle indagini preliminari (cui seguiranno le richieste di rinvio a giudizio), i carabinieri di Padova, che hanno coordinato le prime indagini assieme alla Finanza di Mirano, hanno voluto sottolineare sia il ruolo avuto dalla Santolini, le cui parole hanno di fatto dato il via alla maxi inchiesta che ha aperto uno squarcio su un'organizzazione criminale di stampo mafioso dedita all'estorsione, all'usura, al riciclaggio di denaro e al sequestro di persona, sia quello di un'altra donna, un'imprenditrice siciliana di Camponogara, che assieme al marito denunciò le minacce subito dal Antonio Genesio Mangone, l'avvoltoio, finito in carcere lo scorso 16 ottobre. «L'inchiesta - ha sottolineato l'Arma -, si apre e si chiude con la testimonianza e il coraggio di una donna».
L'APPELLO
Per la Santolini rivolgersi alle forze dell'ordine è stata l'unica possibilità di salvarsi. «Bisogna avere fiducia nello Stato e denunciare. Io ho trovato il coraggio di farlo quando hanno minacciato anche mio figlio» aveva spiegato nei mesi scorsi, ribadendo anche ai militari dell'Arma quanto fosse nero l'inferno in cui era piombata. «Io e mio marito eravamo una coppia felice, quel poco che avevamo lo abbiamo dato a loro. E ci hanno rovinati. Abbiamo perso tutto. Parlare con le forze dell'ordine è stato una liberazione». Acquisite le quote di maggioranza della Gs Scaffalature di Galleria Veneta, Santolini e Venturin, nel 2013, vennero minacciati e malmenati dai fratelli Bolognino che volevano entrare in possesso della società e che, per costringere i coniugi a sottostare al loro volere, li intimidirono e malmenarono, arrivando a minacciare anche il figlio appena nato. Dalla denuncia dei coniugi trevigiani partono le indagini della Procura Distrettuale Antimafia che aprono uno squarcio sull'attività dei Bolognino, referenti del clan prima in Emilia e poi in Veneto, fino alla conclusione della prima fase delle indagini, a marzo, con l'arresto di 27 persone e il sequestro di 18 milioni di euro. «È proprio vero che la mafia è come una piovra, ti senti addosso dei veri e propri tentacoli - afferma Stefano Venturin -. Siamo felici si sia conclusa la prima fase delle indagini, ma siamo certi che non è finita qui».
VERSO IL PROCESSO
Non a caso, dopo l'operazione Camaleonte, è seguita Avvoltoio, che lo scorso ottobre ha portato all'arresto del boss Antonio Genesio Mangone, 54enne di Cosenza accusato di estorsione aggravata da metodo mafioso. Tra i suoi scagnozzi secondo la Distrettuale, c'era anche Antonio Gnesotto, 54enne di origini padovane ma residente a Villorba che avrebbe partecipato all'estorsione ai danni di Adrian Arcana (indagato a marzo), imprenditore albanese di Rubano, sottoposto a minacce e violenze da Mangone e soci per non incassare due assegni da 43mila euro ciascuno. A ricevere l'avviso di conclusione indagini della Procura veneziana, assieme al broker pentito Leonardo Lovo, altri tre trevigiani: i fratelli kosovari Ilir Shala, 40 anni, residente a Trevignano e titolare della Shala Coperture di Asolo e Sadik Shala, 29 anni, residente a Montebelluna e capo della Edil Coperture di Montebelluna, e Ferdinando Carraro, 58enne originario di Riese ma residente a Quero, nel Bellunese, dov'è titolare della ditta Car Edil. Stando a quanto emerso nelle indagini, tramite le rispettive aziende i tre indagati simulavano rapporti di fornitura con le ditte in mano alle cosche ricevendo somme di denaro che venivano riversate utilizzando fatture inesistenti. Le cosche ottenevano denaro pulito, le ditte crediti d'imposta.
Alberto Beltrame
Marina Lucchin
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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