«Noi diamo coraggio, ma la paura della morte segna i malati»

Giovedì 9 Aprile 2020
«Noi diamo coraggio, ma la paura della morte segna i malati»
TRA DOLORE E SPERANZA
PORDENONE Il coronavirus è un bollettino di morte quotidiano. Eppure i guariti crescono. E - come conferma il dottor Umberto Zuccon, primario del reparto di Pneumologia di Pordenone - sono molti. «Una volta trasferiti nel reparto Covid generale, dopo qualche giorno vengono dimessi - spiega Zuccon - Adesso dobbiamo capire e fare un protocollo di follow up per questi pazienti. Dovranno essere rivalutati sotto il profilo clinico, immunologico, cardiologico e funzionale respiratorio. Dobbiamo preparare un protocollo».
La loro guarigione può essere la luce in fondo al tunnel dell'emergenza? Zuccon è cauto: «Ho l'idea che per molti mesi in reparti come il pronto soccorso, la pneumologia e la medicina, che vedono soggetti che vengono in ospedale perchè hanno tosse e dispnea o polmonite, si debba fare molta attenzione perchè potrebbero esser sempre dei pazienti sintomatici o portatori sani che non sviluppano la malattia. Potrebbero essere potenziali agenti vettori, per cui i problemi legati al ritorno alla vita di tutti i giorni, in ospedale saranno acuiti. Bisognerà capire come gestire quella fase».
Chi ha superato le fasi critiche del Covid-19 racconta di angosce e paure enormi. Zuccon ha la testimonianza di una collega: «Mi sono laureato assieme a Rita Marchi, la pneumologa e responsabile della sezione Covid-19 dell'ospedale di Schiavonia - racconta - Anche lei si è ammalata. Ci sentivamo quasi quotidianamente. Mi raccontava della sensazione di poter morire perchè non riusciva a espandere il torace, una cosa mai provata prima. Posso immaginare che persone che si sono trovate in queste condizioni non per giorni, ma per settimane, possano avere sindromi post traumatiche». Il pensiero va anche ai suoi pazienti: «Immagino i pazienti che sono in ventilazione da noi al sesto piano, nelle sale operatorie, senza finestre, 24 ore su 24 attaccati a queste macchine, con infermieri e medici vestiti come dei palombari. Gli facciamo dei segni, parliamo, cerchiamo di sorridere ma non si vede dietro la maschera, li tocchiamo, diamo coraggio, raccontiamo delle cose anche belle per dar speranza, però hanno crisi, anche psicologiche, importanti. Si creano condizioni claustrofobiche. Penso che sia esperienza che segna moltissimo: sono un passo dalla morte».
Zuccon, come tanti suoi colleghi, non avrebbe mai immaginato di combattere una simile battaglia. «Credo che pochi avessero idea di quello che sarebbe potuto succedere perchè non abbiamo mai vissuto un'esperienza del genere - osserva - Qualche epidemiologo può aver intuito, ma la stragrande maggioranza di noi è stata abbastanza colta di sorpresa. Noi italiani, tutto sommato, quando è arrivato questo treno siamo riusciti in qualche modo, pur con i nostri errori, a fare quello che abbiamo fatto». E gli altri? «I nostri amici dei Paesi europei che avevano l'esempio dell'Italia si sono comportati come se questa cosa non li toccasse. Sotto c'era sempre il fattore economico. L'unico - e qui devo dire che c'è il segno del destino - che affermava la teoria dell'immunità di gregge era Boris Johnson, che adesso è in rianimazione e ha anche un'età che, per il coronavirus, non è un'età giovane».
C.A.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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