Divieti e incassi a picco, l'ira delle parrucchiere

Giovedì 21 Gennaio 2021
LA SITUAZIONE
PADOVA Sono aperti, possono continuare a lavorare e a differenza dei locali riescono ancora a ricevere le clienti in negozio. Ma per i saloni di bellezza le buone notizie finiscono qui. Le oltre 2.200 parrucchiere ed estetiste della provincia di Padova resistono ma intanto mescolano due sentimenti: rabbia e preoccupazione. La rabbia è dettata dal divieto di ricevere clienti da fuori Comune, una limitazione che taglia fuori un'importante fetta di clientela. La preoccupazione è quella sempre più diffusa guardando i fatturati: la zona arancione costa una perdita tra il 40 e il 50% e nell'ultimo mese sono andati in fumo oltre 16 milioni di euro. Le stime sono della Confartigianato Imprese Padova, che parla di «pesante impatto della pandemia su un settore che da sempre opera su appuntamento e seguendo rigide norme di igiene».
LO SFOGO
«L'attuale situazione rappresenta una violazione della libertà di scelta dei clienti stessi sbotta Ennio Mazzon, presidente della categoria Acconciatura ed estetica per Confartigianato - Non è nei nostri saloni che si prende il virus perché il Covid circola dove c'è assembramento e dove non si rispettano le regole di igiene e sicurezza. Nei saloni - insiste - si accede un cliente alla volta e solo su appuntamento, gli operatori sono scrupolosi e gli ambienti sono sanificati. Inoltre i clienti restano all'interno degli esercizi per poco tempo e sono distanziati. Lavoriamo in totale sicurezza. Impedire questo tipo di spostamenti è ingiusto e irragionevole. Abbiamo sollecitato inutilmente anche il governo su questo punto. C'è però un silenzio che stride con l'azione di alcuni prefetti che a Cremona, Sondrio, Brescia, Milano e Torino hanno concesso libertà agli spostamenti se per appuntamenti presso esercizi in cui i clienti vengono ricevuti singolarmente».
Mazzon lancia un ultimo appello: «Questo provvedimento va ad incidere sul rapporto di fiducia che si è instaurato e consolidato negli anni tra professionisti e clienti che risiedono in altri Comuni. Chiediamo quindi un chiarimento che risponda al buon senso e alla ragionevolezza che deve sempre accompagnare l'applicazione delle norme. Una interpretazione che ha un senso oltretutto in un territorio come il nostro, composto da Comuni spesso molto vicini fra di loro».
L'ANALISI
Si fa sentire anche l'Ascom Confcommercio, che guarda all'intero 2020 e lancia l'allarme: «Si contano 146 imprese in meno a Padova, ma i dati veri, frutti avvelenati della pandemia, saranno quelli del primo trimestre 2021». I numeri presi in considerazione sono quelli Unioncamere e InfoCamere. La provincia di Padova nell'anno appena concluso ha iscritto 4.463 aziende e ne ha cessate 4.609, vale a dire 146 in meno del 2019. «Questo significa che da noi l'onda della crisi ha già toccato terra e che le imprese cominciano a chiudere i battenti - commenta il presidente Patrizio Bertin -, operazione che troveremo amplificata di gran lunga nel conteggio del primo trimestre 2021. Già la metà del mese di febbraio ci dirà quanto la crisi da pandemia avrà pesato sulle attività imprenditoriali, soprattutto le più piccole».
I LIBERI PROFESSIONISTI
«Se c'è chi getta la spugna continua il presidente dell'Ascom Confcommercio è anche vero che c'è chi, espulso dal sistema, magari dove svolgeva un lavoro da dipendente, si reinventa imprenditore. O meglio: diventa partita Iva con tutte le problematiche del caso. I numeri delle Partite Iva sfuggono ai rilievi camerali ma una nostra recente valutazione individua duemila professionisti che hanno già chiuso o stanno per farlo. E tra questi una parte importante risiede nelle categorie dello spettacolo che è uno dei settori più colpiti».
Gabriele Pipia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci