«Il Covid? Come scalare gli 8mila»

Sabato 16 Gennaio 2021
«Il Covid? Come scalare gli 8mila»
L'INTERVISTA
BELLUNO Marco Perale è tornato a casa. L'assessore alla Cultura del Comune di Belluno è stato dimesso giovedì dal reparto di Malattie infettive del San Martino. Si trovava lì ricoverato per Covid dallo scorso 2 gennaio e è stato anche sotto ossigeno. Adesso ha davanti 10 giorni di convalescenza in cui cercare di recuperare le forze e, forse, quei sette chili persi nella lotta contro il mostro. Ha voglia di chiacchierare. «Sono un giornalista dice -, per me è giusto raccontare e testimoniare cosa significa questa malattia. La gente deve sapere». Ammette di aver avuto paura e paragona le giornate infinite nella camera d'ospedale allo sforzo di scalare una montagna da 8mila metri. E racconta così di quei giorni.
Cosa si prova a stare lì, in ospedale, conoscendo i decorsi anche tragici che può avere questa malattia?
«Ho avuto paura, ma era una paura strana. Essere in camera da soli significa non dover fingere di sentirsi coraggiosi perché non ci sono parenti che vengono a trovarti né hai nessuno con cui parlare. È come andare in montagna, ma da soli».
In che senso?
«In oltre vent'anni di frequentazione di Oltre le Vette ho ascoltato i racconti di tanti alpinisti, tutti parlano della fatica di respirare oltre una certa altitudine, ci si deve concentrare per farlo. E così era per me, ogni respiro era il frutto di uno sforzo di concentrazione, vai avanti respiro dopo respiro con fatica e non pensi ad altro».
Uno sforzo che sfianca.
«Sì, basti pensare che in quei giorni, senza fare alcuna attività di tipo fisico, ho perso sette chili. È stata una lotta vera e propria quella contro il Covid».
Può ripercorrere la malattia, dall'ingresso in ospedale alle dimissioni?
«Sono stato una settimana a casa ammalato con 39 di febbre, dopodiché il primo gennaio mi sono sottoposto al tampone e il 2 sono stato ricoverato. Sono arrivato in ospedale un pelo in ritardo, sarei dovuto andarci prima, infatti per i primi tre giorni i miei parametri non hanno fatto che peggiorare e le radiografie erano orrende, evidenziavano una polmonite bilaterale, il Covid aveva colpito entrambi i polmoni che sembravano come avvolti in una nebulosa».
Come trascorreva le giornate?
«Naturalmente a letto. Nei primi giorni il mio unico sforzo era concentrarmi per respirare. Ho preso molti medicinali e mi hanno somministrato ossigeno, dapprima con un tubetto poi con una maschera, non ero messo bene. La vita era semi normale, però ti ritrovi da solo e devi psicologicamente gestirti».
È sempre stato presente e attivo sui social, dal suo profilo Facebook condivideva notizie e commentava. Lo faceva per rassicurare chi lo conosce?
«Lo facevo per rassicurare me (ride ndr), non riuscivo a leggere e navigare su Facebook era l'unica attività che mi riusciva. Ammetto di aver avviato un paio di polemiche pesanti in quei giorni, in rete, ma davvero trovarsi lì dentro e stare come stavo, vedere medici e infermieri affaccendarsi e sentire ancora persone dire che il Covid non esiste mi faceva montare un misto di rabbia e di stupore».
Ai negazionisti oggi cosa dice?
«Che il Covid è un mostro orrendo, una rottura di scatole pazzesca, ma non è negandolo che lo combattiamo e non aprendo i ristoranti che risolviamo la situazione. Ci lasceremo alle spalle tutto questo solo quando i due terzi della popolazione saranno vaccinati».
Ora come sta?
«Bene, debole ma bene. Ho davanti a me dieci giorni di convalescenza prima di tornare alla mia vita normale, sempre rispettando tutte le accortezze, con guanti e mascherina. La ringrazio per essersi raccontato. Lo trovo giusto, sono un giornalista e un giornalista racconta. Credo che la testimonianza possa far capire molto a chi non l'ha vissuto».
Alessia Trentin
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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