Ristoranti, il lavoro c'è ma viene rifiutato. «Le tentiamo tutte, i ragazzi preferiscono i soldi dai genitori». Appelli sui social

Domenica 12 Marzo 2023 di Tomaso Borzomì
I ristoratori Giulia Sutto e Daniele Zennaro

VENEZIA - Un nuovo appello, pubblico, per trovare personale per i ristoranti. Stavolta è Daniele Zennaro, chef del Giubagiò di Fondamente Nove a Venezia, a metterci la faccia in un video: «Stiamo cercando due chef che abbiano voglia di inserirsi in una brigata giovane e dinamica», annuncia. Problema non nuovo, che si riaccende ora che si avvicina la bella stagione.

Siamo sempre là: secondo i ristoratori il problema è generazionale, ma anche culturale. Manca la voglia di faticare, a fronte di un orientamento verso il “guadagno facile”, ma anche il desiderio di godersi di più la vita.

VENEZIA

Il titolare del Giubagiò a Venezia, Giulio Antonello, spiega: «Ormai tutto si sta orientando verso i 5 giorni su 7 di lavoro, perché c’è una visione della vita diversa. E il fatto si ripercuote su tutta l’economia del ristorante. Gli stipendi sono in linea con il mercato, l’impressione è che però ci sia poca voglia di imparare». Fatto che però non accade solo in questo settore: «Se uno desidera diventare falegname, cerca di lavorarci sempre. Un pilota d’aereo accetta di star fuori tre notti pur di diventare professionalmente qualcuno. Oggi gli hotel cercano personale, anche i supermercati non trovano». La causa è, per Antonello, educativa: «Finché i genitori non imparano a far muovere i propri figli dal letto sarà dura, perché è cambiata la cultura del lavoro». Chi ha meno difficoltà, ma comunque non è a posto, lo fa perché adotta una visione aziendale del ristorante.

MIRANO

Giorgia Codato è laurerata in psicologia e utilizza le sue competenze analizzando a fondo i problemi e le risorse offerte dalla sua Horteria di Mirano. «Siamo alla ricerca di personale di sala, tre mesi fa cercavamo in cucina. Serve passione, in questo momento storico manca la voglia di fare questo lavoro, di accettare orari diversi da altre vite, ma a fare la differenza è “entrare nel progetto”. Per questo cerco di coinvolgere tutto lo staff».

Piccoli gesti che compongono una squadra, che fa sì che si “corra anche per il compagno”: «Cerco di organizzare gite insieme, i menu prima di proporli li assaggiamo tutti e poi i giorni di riposo sono importanti. A fronte di uno stipendio, offro la possibilità di lavorare per obiettivi, indipendentemente dall’orario. Mi interessa però che le cose siano fatte». Giorgia aggiunge una riflessione: «Si lavora 5 giorni su 7, ma con i due giorni di riposo attaccati. Poi, lascio che in cucina si gestiscano per avere una terza sera libera. Ritengo che si produca di più quando si sta bene». Sui problemi del settore, l’imprenditrice offre un diverso spunto di vista: «Il passato ha rovinato le figure professionali. A livello di stipendi la paga non è alta quanto dovrebbe, così come la tassazione. E poi, i social rappresentano una verità non reale». Come la tv: «Il cuoco non è solo arte, ma fa un lavoro duro, stressante. Chi inizia l’alberghiero forse non sa i sacrifici necessari. E poi, da Masterchef in giù, tutti decantano il cuoco, ma sul servire non se ne parla. Così il mestiere di sala è recepito come uno schiavo e nessuno lo vuol fare». 

NOALE

Un’altra soluzione la propone Monica Busatto, titolare de “Al Gallo” a Noale, qui per cercare di non disperdere le professionalità si batte sulla concezione di famiglia: «Attualmente siamo a regime, anche perché facciamo 5 su 7, ma ci stiamo rinforzando per quando apriremo il giardino. Da noi c’è gente anche da quindici anni, vuol dire che stanno bene». La filosofia è quella di costruire un gruppo di famiglia: «Parto dal concetto insegnatomi dai miei, io sono la terza generazione, ma se c’è un problema siamo qui. E poi, se le cose vanno bene, è giusto premiare». Non manca però un pizzico di rammarico: «Le cose sono cambiate, una volta finito il lavoro si faceva festa, si mangiava tutti insieme e si stava bene. Ora no, lavorare il sabato è un sacrificio e non c’è disponibilità, ma per avere, bisogna dare».

FOSSO'

A raccontare quanto difficile sia trovare oggi un dipendente fidato, anche come “extra” è Alessio Boldrin, del bacaro “Il Gusto” di Fossò. «Ho fissato tre colloqui nell’ultima settimana per avere una mano, non si è presentato nessuno. Stavo per assumere un ragazzo che proveniva dalle scuole, non si è presentato alla visita del lavoro, mi ha detto che non aveva voglia e sarebbe andato il giorno dopo, forse. Non si può». Altro esempio deriva dai genitori: «Un ragazzo mi ha detto che suo padre gli dava 500 euro al mese. Gli ho detto che lavorando tre servizi, venerdì-sabato-domenica, ne avrebbe presi altri 6-700, la cosa incredibile è che mi ha detto che non gli serviva. I genitori oggi non vogliono che i figli fatichino ed è sparita la voglia di imparare».  Infine la ricetta di Grigoris a Mestre Asseggiano, tra le migliori pizzerie italiane, è chiarita da Lello Ravagnan e si basa sull’investire sul personale. «Da due anni un pizzaiolo della Riviera che si era trasferito in Peru, a Lima, mi ha chiesto di lavorare per noi. L’abbiamo fatto tornare, stiamo investendo molto in personale. Serve occhio per capire chi ha voglia. Bisogna però seminare cultura e rispetto per i dipendenti, concentrandosi sul servizio e facendo corsi interni». Ravagnan prosegue con alcuni esempi: «C’è chi si iscrive al corso di sommelier, facciamo corsi con pizzaioli che portino idee e poi, quando c’è l’occasione va colta. Adesso, nonostante non abbia bisogno, c’è un ragazzo di 21 anni che potrebbe entrare, se ha voglia di crescere, diventa una risorsa importante».

Ristoranti, il lavoro rifiutato. «Ma a quelli come me, tra i 50 e i 60 anni, i gestori dicono che siamo troppo vecchi»

DUNA VERDE

Infine Giulia Sutto, chef trevigiana al “Bellavista” di Duna Verde. «La mancanza di personale la troviamo in tutte le realtà e non è solo un problema italiano. Si tratta di un cambio generazionale che ha iniziato a farsi sentire già da diversi anni ma, negli ultimi due, di forza lavoro ce n’è sempre meno. Purtroppo è successo anche a me do imbattermi in improvvisati del settore che portarono me e mie colleghi a turni anche di 17 ore consecutive, senza una retribuzione adeguata, Ma ora, quando tratto questi temi con i miei titolari attuali, con i quali negli anni si è instaurato un rapporto di fiducia e rispetto, capisco anche le loro problematiche. Forse i giovani d’oggi sono protetti da una condizione familiare che permette di oltrepassare la necessità di un’ autonomia economica e sociale. Per altro verso, vanno valorizzati - e ce ne sono - gli imprenditori che sostengono l’umanità dei propri dipendenti, che da sempre ha determinato il successo di questo settore».

Ultimo aggiornamento: 13 Marzo, 08:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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