​Pietro Bembo (1470-1547), cardinale, scrittore e umanista

Lunedì 19 Agosto 2019 di Alberto Toso Fei
Pietro Bembo (1470-1547), cardinale, scrittore e umanista
Tra i suoi meriti maggiori vi è quello di aver risvegliato l'interesse non solo sui classici, attività alla quale si dedicò la gran parte degli umanisti italiani, ma soprattutto sulle opere di Petrarca e Boccaccio, influenzando in maniera notevole lo sviluppo della lingua e della letteratura italiana. Il suo impulso fu inoltre decisivo nella formazione musicale dello stile madrigale del Cinquecento. Pur diventando un religioso, più avanti con l'età, Pietro Bembo non esitò negli anni giovanili a intrecciare numerosi amori e ad avere dei figli, e non si sottrasse nemmeno davanti a Lucrezia Borgia (che in fondo era figlia di un papa), con la quale ebbe una relazione a Ferrara quando era moglie di Alfonso d'Este.

Anche un carattere di stampa, il “bembo”, porta il suo nome grazie ad Aldo Manuzio; ma per parlare di un personaggio così poliedrico è necessario fare un passo indietro e cominciare tutto da capo. Figlio di Bernardo Bembo e Elena Morosini, nacque il 20 maggio 1470 in una famiglia di antica nobiltà; ancora bambino seguì a Firenze il padre, senatore della Serenissima, e alla corte di Lorenzo il Magnifico imparò la lingua toscana. Perfezionò in Sicilia lo studio del greco alla scuola messinese del celebre ellenista Costantino Lascaris (tra il 1492 e il 1494) e dopo la laurea a Padova si trasferì presso la corte dei D’Este, a Ferrara, che in quegli anni era un importante centro letterario e musicale. Lì incontrò Ludovico Ariosto e iniziò a elaborare “Gli Asolani”, forse la sua opera più conosciuta: una raccolta di tre libri, stampati nel 1505 da Aldo Manuzio, contenente discorsi filosofici sull'amore platonico.

In realtà tanto platonici gli amori di Pietro Bembo non furono: “Gli Asolani” furono dedicati a Lucrezia Borgia, sua amante, lo stesso anno in cui peraltro il veneziano fuggiva da Ferrara flagellata dalla peste. Non si trattava certo della prima collaborazione con Aldo Manuzio, col quale aveva già lavorato nel 1501 e nel 1502 nell'elaborazione del “Canzoniere” del Petrarca e delle “Terze Rime” (l'allora nome della “Divina Commedia”) di Dante: entrambe le edizioni divennero il riferimento di tutte le edizioni successive per almeno tre secoli. Nel 1496, invece, dando alle stampe il “De Aetna” – memoria della sua esperienza siciliana – Manuzio aveva usato per la prima volta un carattere tipografico classico che fu poi chiamato “bembo”, e che è tutt'ora presente fra i moderni “font” dei computer.

Dopo Ferrara toccò a Urbino e poi a Roma, dove nel 1513 seguì Giulio de' Medici (destinato a divenire Clemente VII) e divenne segretario di Leone X. Furono anni di intensa attività letteraria, filologica e umanistica – nei quali dettò fra l'altro la celebre epigrafe per la tomba di Raffaello – che si interruppero nel 1521 con la morte di de' Medici e videro Bembo trasferirsi a Padova dove risiedeva Faustina Morosina della Torre, sua amante (con dei probabili trascorsi da cortigiana, ma con la quale strinse un rapporto genuino e ricambiato), che gli diede i figli Lucilio, Torquato e Elena. Nel 1529 ritornò nella sua Venezia, dove ricoprì l'incarico di storiografo ufficiale della Repubblica e di bibliotecario della nascente Biblioteca Marciana. In precedenza, più per doveri famigliari che per vera vocazione – e soprattutto dopo la morte prematura del fratello Carlo – aveva tentato la via della politica e della diplomazia, ma senza successo, e rapidamente era tornato ai suoi studi e alle sue poesie nell'allora nascente lingua “volgare” e alla nuova letteratura. Che fu anche osteggiata da gruppi di giovani intellettuali, contro i quali si schierò a fianco di Bembo anche Pietro Aretino.

La morte della sua Morosina gli spalancò le porte della Chiesa, alla quale era stato sempre molto vicino: nel 1539 papa Paolo III – Alessandro Farnese – lo creò cardinale diacono; per assumere il suo nuovo incarico Pietro Bembo (allora sessantanovenne) tornò a Roma e lo stesso anno fu ordinato sacerdote. Due anni dopo prese in qualità di amministratore apostolico la sede di Gubbio e poi di Bergamo, diocesi più ricca, eventualità quest'ultima che gli permise di sanare i debiti contratti per formare una dote ricca alla figlia che – nata illegittima – andò in sposa al nobile veneziano Pietro Gradenigo. Morì a Roma il 18 gennaio 1547, a 76 anni, e fu sepolto nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva. La sua tomba si trova tra quelle di due papi medicei, Leone X e Clemente VII.
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