"Padrenostro", Pierfrancesco Favino e i padri di una volta

Sabato 5 Settembre 2020 di Alda Vanzan
"Padrenostro", Pierfrancesco Favino e i padri di una volta
Con Gino Bartali ha macinato cinquemila chilometri in bicicletta per entrare nel personaggio del grande campione toscano. Per interpretare Bettino Craxi si è sottoposto a estenuanti sedute in sala trucco, più di cinque ore ogni giorno. Per vestire i panni di Alfonso Noce, il vicequestore padre del regista Claudio che nel 1976 fu ferito in un attentato per mano dei Nap, i Nuclei Armati Proletari, a Pierfrancesco Favino è bastato ripensare all'infanzia. La propria e quella degli attuali cinquantenni, «una generazione di invisibili che non ha partecipato a quella fase storica, che è stata messa in un angolo». Bambini spettatori, che i genitori pensavano di proteggere non raccontando quello che stava accadendo e che invece si sono portati dietro le ferite degli Anni di Piombo: i silenzi, le parole dei grandi origliate da dietro il muro della camera da letto, la paura. Anche la mancanza di una carezza. «Siamo una generazione di silenti educati che ogni tanto si sente in dovere di chiedere permesso, ma non abbiamo più paura», racconta Favino prima della proiezione ufficiale di Padrenostro, il nuovo lavoro di Claudio Noce tratto da una vicenda vera, l'attentato al padre del regista in cui persero la vita il poliziotto Prisco Palumbo e il terrorista Martino Zichittella. Ad assistere alla sparatoria, dalla finestra di casa, non fu Claudio, ma il fratello: «Io avevo solo due anni - dice Noce - mio fratello più grande invece ha assistito veramente alla scena, nostra sorella per fortuna era a scuola, ma tutti e tre abbiamo rivissuto quella storia sempre. Mi sono deciso a fare il film quando ho trovato un modo per raccontare questa storia in maniera universale, non privata».
Accettare la parte del vicequestore Alfonso, per Favino, è stato facile: «Tre anni e mezzo fa io e Claudio eravamo in un bar a bere un caffè. Mentre mi raccontava la storia della sua famiglia mi sono rivisto bambino, rivedevo il rapporto tra me e mio padre, ricordavo gli odori, i sapori, i silenzi di quegli anni. E pensavo che c'è stata una generazione di bambini, la mia, quella di chi adesso è cinquantenne, che sono stati invisibili». Favino evoca le immagini che si ritrovano nel film, il primo dei quattro italiani in concorso a Venezia77: «Mi ricordo le voci dei miei genitori mentre noi eravamo a letto o a sbirciare da dietro la porta. I padri di una volta non ti abbracciavano, non mostravano sentimenti, non piangevano perché se lo avessero fatto sarebbero stati meno maschi e tu dovevi capirli così, carpirne le emozioni di nascosto. Claudio Noce con questo film mi ha dato la possibilità di raccontare il mistero che c'è tra padre e figlio».
LA DIVERSITÀFilm sugli anni di piombo ce ne sono stati tanti, ammette Favino. «Ma noi volevamo raccontare l'infanzia di quegli anni - dice Favino - Chi come noi ha avuto genitori di una certa generazione ha dovuto capire quegli atteggiamenti di chiusura che erano atti a proteggere la nostra infanzia. Io sono stato uno di quei bambini dietro la porta, che andava a letto dopo Carosello, ma ricordo quelle chiacchiere, quei salotti fumosi, che per noi erano preclusi. La nostra generazione è stata sempre messa di lato, quegli anni terribili li abbiamo vissuti in un certo modo. Per tanti anni ho cercato di far mie quelle tensioni, ma non mi appartengono, non ci appartengo. Ci è stato detto di stare zitti perché quella lotta non l'abbiamo fatta. Ma il nostro laicismo di oggi ci permette di non avere più paura. Credo che alla fine questo film sia una lettera d'amore spedita da un padre a un figlio e viceversa».
I DISTINGUOFavino non si scompone dell'annunciata presenza in Sala Grande del segretario della Lega Matteo Salvini con la fidanzata Francesca Verdini. Teme che il film venga strumentalizzato soprattutto in piena campagna elettorale? «Non l'ho invitato, ma nessuno di noi ha il diritto di impedire di essere spettatore di un film. Spero che non faccia un viaggio a vuoto. Vedendo il film si capisce che non è pro poliziotti, così come non è pro Nap, ma è una storia di bambini, di figli. Conosciamo la capacità di Salvini di essere al centro, è un bel segnale per il film, ma non credo in questo caso ci sia possibilità di manipolazione».
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