La moglie si uccise a 24 anni, marito a processo: «Suicidio dovuto ai maltrattamenti». Ma per la difesa non ci sono proveno prove

Martedì 14 Febbraio 2023 di Gianluca Amadori
La moglie si uccise, marito a processo

MESTRE - Sua moglie si uccise nel giugno del 2021, gettandosi sotto un treno alla stazione ferroviaria di Mestre. Ieri, a distanza di poco più di un anno e mezzo da quel tragico decesso, un trentenne di nazionalità moldava è stato rinviato a giudizio di fronte alla Corte d'Assise di Venezia per rispondere di un reato raramente contestato, che prevede pene da 12 a 24 anni di reclusione: maltrattamenti contro familiari e conviventi da cui deriva la morte. A disporre il processo è stata la giudice per l'udienza preliminare Maria Rosa Barbieri, la quale ha accolto la richiesta formulata dal sostituto procuratore Giorgio Gava.


LA DIFESA


La difesa, rappresentata dall'avvocato Leonardo De Luca, dello studio Simonetti di Mestre, si è battuta invano per ottenere il proscioglimento, sostenendo che agli atti dell'inchiesta non vi è alcuna prova degli ipotizzati maltrattamenti a carico della coniuge dell'imputato; tantomeno di un possibile nesso causale tra gli ipotizzati maltrattamenti e il suicidio della giovane donna. L'inchiesta, avviata a seguito della morte della ventiquattrenne di origini moldave, si basa principalmente sulle dichiarazioni rese alle forze dell'ordine da alcuni familiari e amici della vittima, in particolare dalla sorella. La giovane donna, infatti, prima di togliersi la vita non ha mai sporto querela nei confronti del coniuge per lamentare botte e violenze psicologiche, né si è mai rivolta al pronto soccorso per farsi visitare e dunque non esiste alcun referto relativo a lesioni subite.

Circostanza che la difesa dell'imputato ha evidenziato nel corso dell'udienza preliminare ed è intenzionata a valorizzare nel corso del dibattimento, la cui data non è stata ancora fissata.


I MALTRATTAMENTI


Il trentenne finito sotto accusa lavora a Mestre come carpentiere e la moglie lo aveva seguito in Italia lasciando nella Repubblica Moldava le quattro figlie. In precedenza l'uomo aveva lavorato in Norvegia. Dalle deposizioni raccolte dagli investigatori emerge che la ventiquattrenne abusava di sostanze alcoliche e soffriva da tempo di depressione, dalla stessa ricondotta ai maltrattamenti che a suo dire era costretta a subire dal marito. Poco prima di togliersi la vita, la giovane donna avrebbe telefonato ad un familiare per comunicarle la sua intenzione suicida, motivandola con il fatto che non poteva più sopportare le violenze del coniuge. La difesa evidenzia, però, che nella lettera di addio lasciata alle figlie, la ventiquattrenne non fa alcun cenno ai maltrattamenti di cui sarebbe stata vittima, limitandosi a chiedere scusa per il suo gesto. La vicenda è di particolare delicatezza e spetterà a giudici e giuria popolare della Corte d'Assise il compito di valutare le prove e verificare l'eventuale sussistenza del grave reato. I maltrattamenti in famiglia sono puniti dall'articolo 572 del codice penale e costituiscono un dei reati più frequentemente contestati nelle aule di giustizia: ogni giorno, a Venezia, ci sono almeno un paio di processi a carico di uomini accusati di picchiare la moglie o la compagna (e talvolta anche i figli), o di sottoporla a violenze psicologiche. Ma capita di rado che venga contestato il terzo comma, quello che prevede pene severe nel caso in cui derivi la morte (o lesioni gravi) Il decesso non è un evento voluto dall'imputato, ma una conseguenza dei maltrattamenti inflitti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche
caricamento

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci