A Venezia dottori-pendolari: «Va aiutata la residenzialità»

Domenica 5 Giugno 2022 di Tullio Cardona
A Venezia dottori-pendolari: «Va aiutata la residenzialità»
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VENEZIA - Allarme per la sanità pubblica e per la situazione nella quale versano i medici in Italia: stipendi bassi, nessuna progressione di carriera, lavoro totalizzante. È quanto è emerso nel convegno nazionale: Doveri ineludibili e diritti negati - la responsabilità nella professionale medica, ieri mattina all'ospedale Civile di Venezia.

Il quadro delineato da Giovanni Leoni, presidente dell'Ordine dei medici del Veneto e a capo della segreteria scientifica dell'incontro, è parso particolarmente difficile per il capoluogo di regione: «Purtroppo il centro storico di Venezia vive una pesante difficoltà: il 65 per cento dei medici viene da fuori, e, oltre all'orario di lavoro, deve aggiungere quello dei trasferimenti, in una città pressata da turisti, da scioperi dei battelli, da nebbie e acqua alta. Mi auguro che si aiuti la residenzialità dei medici, con il reperimento di appartamenti ad affitto calmierato».


GLI ABBANDONI
Nel corso del convegno sono stati forniti i dati annuali sulla sanità, ma soprattutto sulla percezione del servizio sanitario in ospedale. Si viene a sapere, grazie a Guido Quici, presidente nazionale della Federazione Cimo-Fesmed, che molti giovani si licenziano per entrare nella libera professione e nelle cooperative private, chiamate a prestare opera di pronto soccorso e di urgenza negli ospedali, oppure ad assistere i pazienti a casa. Tutti vengono pagati meglio della struttura ospedaliera. Il primo dato: in Italia lo stipendio medio dei medici è il più basso d'Europa ed il 75 per cento delle donne medico in gravidanza non viene sostituito. «Quando una collega annuncia di attendere un bambino - ha precisato Quici - nel reparto cala il lutto, perché vuol dire che c'è un medico in meno». «L'80 per cento dei giovani medici assunti dimostra un'alta prospettiva in merito alla carriera, alla retribuzione, alla loro qualità della vita. Poi subentra la delusione, viva nei medici anziani, che si accorgono di essere entrati in ospedale con un livello e che andranno in pensione sempre con quello. In più il lavoro diventa totalizzante e il 49 per cento conta 50 giorni di ferie non godute, mentre il 18 per cento arriva persino a 100 giorni. Ancora: il lavoro di un medico in ospedale per il 52 per cento è rivolto agli aspetti burocratici, e solo il 22,4 per cento agli atti medici veri e propri. In questi anni - ha detto il presidente nazionale della Federazione Cimo-Fesmed - le aziende Ulss hanno accantonato 250 milioni di euro di finanziamenti e contribuzioni dal settore pubblico. Sono 35mila i medici che hanno contenziosi giudiziari e 2.500 hanno subito aggressioni solo in questo ultimo anno. Questa è la diagnosi».
La cura? «Aumentare le risorse - ha detto Quici - assumere medici, stipulare contratti esigibili, sbloccare le carriere, tutelare i professionisti e liberare la professione. I medici non hanno futuro, ma la sanità non ha futuro senza medici».


OBIETTIVO VACCINI
Sul fronte veneziano, Leoni ha sottolineato che il livello ospedaliero, sia in città che in provincia, «non è male. Le Ulss sono state promosse dalla Regione Veneto per capacità di vaccinare e per la sensibilizzazione relativa al Covid. Al netto delle problematiche sanitarie, è necessario migliorare il trend vaccinale. Le cooperative, poi, non sono ancora arrivate negli ospedali veneziani, almeno non in pronto soccorso. E già questo è positivo».

 

Ultimo aggiornamento: 17:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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