Biennale di Venezia. Leone d'oro al regista che scava nell'anima

Domenica 4 Luglio 2021 di Giambattista Marchetto
Krzysztof Warlikowski

Biennale, il premio al polacco Krzysztof Warlikowski: «Non so quanto saremo in grado di ricostruire dopo il Covid. So però a quanta libertà abbiamo rinunciato tutti in cambio di un'illusione di sicurezza».

«Non so quanto saremo in grado di ricostruire dopo il Covid - se mai se ne andrà. So però a quanta libertà abbiamo rinunciato tutti, e non per la prima volta, in cambio di un'illusione di sicurezza. E so anche che abbiamo il dovere di lottare per la nostra memoria, soprattutto perché sono in molti a volere che noi dimentichiamo». Guarda al presente e al futuro con occhi disincantati il regista polacco Krzysztof Warlikowski, che ieri ha ricevuto dal presidente della Biennale Roberto Cicutto il Leone d'oro per il teatro.

ARTISTA LIBERO

«Da più di vent'anni Warlikowski è fautore di un profondo rinnovamento del linguaggio teatrale europeo - recita la motivazione della direzione artistica ricci/forte - Utilizzando anche riferimenti cinematografici, un uso originale del video e inventando nuove forme di spettacolo atte a ristabilire il legame tra l'opera teatrale e il pubblico, sprona quest'ultimo a strappare il fondale di carta della propria vita e scoprire cosa nasconde realmente».

Il regista è infatti «un artista libero - scrivono ricci/forte - che apre brecce poetiche illuminando con un fascio di luce cruda il rovescio della medaglia; che scende nelle viscere del dolore e mette in discussione con ironia le ambiguità sia della Storia con la s maiuscola sia quelle della nostra esistenza individuale, offrendoci la visione di una società minacciata da cambiamenti radicali». Il suo è un teatro scorticato che denuda le contraddizioni, le miserie, i paradossi dello spirito del tempo. Un tempo che ieri ha messo al centro del suo discorso di ringraziamento, rimarcando come «noi viviamo solo nel presente e sembriamo disinteressati rispetto al passato - alle cose che hanno dato forma alla nostra cultura e ai nostri pensieri, ai nostri traumi e i nostri sogni. Stiamo dimenticando quanto importante fosse cercare le cose che non possono esser viste e provare a cogliere un breve squarcio di esse che ci veniva concesso».

MORTE DI UNA COMUNITÀ

Warlikowski è stato protagonista anche dell'apertura del programma della Biennale Teatro firmata da ricci/forte con We are leaving. Tratto da Suitcase Packers di Hanoch Levin, lo spettacolo nel quale tutti fanno i bagagli o muoiono. Specchio delle ansie e dei movimenti che avvengono nel macro panorama internazionale, l'opera ha un vigore espressionista che richiama grandi tradizioni polacche (Kantor in primis) e sembra imbandire sulla scena una sarabanda para-felliniana incentrata su un'ironia funebre. In scena muoiono tutti, forse muoiono per non scappare o per non esser riusciti ad evadere da un universo soffocante, triste e terribilmente ironico, disincantato come succede a chi ha perso i connotati della vita. Il grottesco in chiave slava verso cui il regista polacco vira il testo dell'autore israeliano richiama una riflessione sulla morte che Warlikowski ha raccontato dopo aver ricevuto il Leone: «Il rito funerario era una cosa che ci proteggeva dalla morte, fino a due anni fa quando facevamo di tutto per non vedere i funerali. Poi è arrivato il Covid e la morte è tornata. E in questo spettacolo presentato alla Biennale c'è la storia toccante che racconta la sparizione di una comunità».

Ultimo aggiornamento: 16:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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