Lavorò in nero e sottopagata, il tribunale impone un risarcimento di 600mila euro

Mercoledì 7 Ottobre 2020 di Gianluca Amadori
Il datore di lavoro, che l'ha sottopagata per 40 anni, ora dovrà risarcirla
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PIANIGA - Ha lavorato per quasi 40 anni alle dipendenze di un artigiano di Pianiga, il quale l’ha retribuita meno del dovuto, mantenendola per un lungo periodo in “nero”. Ora, all’età di quasi 70 anni, all’ex lavoratrice spettano quasi 600 mila euro a titolo di differenze retributive. Lo ha stabilito la sezione lavoro del Tribunale di Venezia, accogliendo le richieste presentate dal suo legale, l’avvocato Enrico Cornelio.
È una storia che merita di essere raccontata quella di L.T., assunta, all’età di 30 anni, in qualità di impiegata contabile da una piccola ditta individuale di legname di Pianiga. Nel 1985, dopo una gravidanza, ne fu simulato il licenziamento, ma continuò a lavorare in nero: prima nella falegnameria poi da casa. Quindi, chiusa la ditta individuale il lavoro proseguì con una società in accomandita semplice (sas), amministrata dalla moglie dell’artigiano, trasformatasi poi in srl. Infine, raggiunta l’età pensionabile, la dipendente fu licenziata con una liquidazione per il solo breve periodo di lavoro svolto nella srl, in cui non era mai stata conteggiata l’anzianità raggiunta nel rapporto di lavoro durato una vita.

LAVORO SUBORDINATO
Il giudice Anna Menegazzo le ha riconosciuto oltre 42 mila euro per il periodo compreso tra il 1985 e il 1991 (somma che con interessi e rivalutazione è cresciuta fino a 178 mila euro); 117 mila euro per il periodo dal 1991 al 2009 (393 mila con interessi e rivalutazione) e ulteriori 25 mila dal 2009 al 2017 (26 mila con interessi e rivalutazione) per un totale di quasi 600 mila euro.
Nella sentenza, depositata qualche giorno fa, il Tribunale ha ritenuto provata l’attività lavorativa prestata ininterrottamente per l’artigiano di Pianiga. Nel corso della causa sono stati ascoltati alcuni testimoni, i quali hanno confermato l’attività subordinata svolta dalla donna, a tempo pieno anche nei periodi in cui formalmente l’inquadramento era diverso o addirittura inesistente.

LA DIFESA
Per contro la difesa non è riuscita a dimostrare che le cose erano andate diversamente, come sostenuto: «La donna era pienamente inserita nella struttura aziendale», scrive il giudice.

La sentenza potrà essere impugnata in appello, ma nel frattempo è provvisoriamente esecutiva.

Ultimo aggiornamento: 9 Ottobre, 12:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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