Federico de Majo, l'inventore della Poldina: «Con la mia lampada ricaricabile ho illuminato il mondo. Il nome? Dalla mia cagnetta...»

Il boom grazie alla pandemia. In un solo giorno vendite per un milione e mezzo di dollari

Lunedì 6 Febbraio 2023 di Edoardo Pittalis
Federico de Majo, l'inventore della Poldina: «Con la mia lampada ricaricabile ho illuminato il mondo. Il nome? Dalla mia cagnetta...»

VENEZIA - Il genio, come diceva la banda di Amici miei è fantasia, intuizione e velocità d'esecuzione. Ma poi ci vuole anche la fortuna. Federico de Majo, veneziano, 68 anni, è stato geniale quando ha inventato la Poldina che è una lampada ricaricabile come un cellulare. Però senza il colpo di fortuna non sarebbe diventata così famosa nel mondo, tanto che oggi anche in Cina chiamano poldina ogni lampada ricaricabile. A spingere l'invenzione è stata la pandemia. «Ci ha paradossalmente premiati: ha portato la necessità di illuminare gli spazi all'aperto di ristoranti, bar, trattorie e bistrot. E cosa c'è di meglio di una lampadina che non ha bisogno della corrente elettrica. Noi abbiamo offerto il prodotto giusto al momento giusto».
Negli Usa ha imposto la moda Cipriani e il New York Times gli ha dedicato una pagina col titolo La lampada che sta invadendo N.Y.

Qualcuno ha disegnato la Statua della Libertà che al posto della torcia regge una Poldina. In un giorno sono state vendute lampade per un milione e mezzo di dollari. Dice de Majo: «Forse è la lampada che nella storia dell'illuminazione ha fatto il numero più alto di pezzi, parliamo di milioni di esemplari. Era nata in sordina, l'avevamo presentata nel 2018 alla Fiera di Francoforte Illuminazione, il primo ordine era di tremila pezzi, un consenso tiepido».


Federico dirige la Zafferano a Quinto di Treviso con filiale nel New Jersey. Nella sede trevigiana lavorano 42 dipendenti, molti sono giovani usciti dalla Iuav e specializzati nel design. Il fatturato italiano è di 38 milioni di euro, quello americano di 16 milioni. Con lui collaborano la moglie Laura e il figlio Marco laureato in Economia alla Cattolica.


Come inizia la storia imprenditoriale della famiglia de Majo?
«Mamma Irma Costantini era veneziana, papà Guido napoletano. Il nonno Federico Costantini era uno dei grandi grossisti della città, con deposito a Rialto da dove partivano tutte le merci per ristoranti e negozi di alimentari. Quando mio nonno chiuse noi eravamo troppo piccoli, lui aveva 80 anni e io 12: non aveva voluto vendere. Siamo stati noi a ricomprare il vecchio magazzino in Ruga Rialto. Papà era arrivato a Venezia nei primi anni della guerra come ufficiale dell'esercito trasferito in Prefettura. Ha conosciuto mia madre e si sono sposati in pieno conflitto; siamo quattro fratelli, io sono il più piccolo, siamo rimasti in due. Dopo l'8 Settembre del '43, i tedeschi con un bando hanno convocato gli ufficiali presenti in città all'hotel Terminus che era in Lista di Spagna. Li hanno deportati tutti, mio padre si è salvato perché addetto alla prefettura e con l'obbligo di presentarsi ogni giorno al comando».


E dopo la guerra cosa è accaduto?
«Il nonno ha presentato mio padre per una società nel 1947 a Murano, come ragioniere per la parte commerciale. Era una piccola fabbrica, in pochi anni si sviluppò al punto che mio padre nel 1959 si mise in proprio acquistando con un mare di cambiali da Gino Cenedese un laboratorio in Fondamenta Navagero. Faceva vetri per lampadari, lo prendevano per matto: un napoletano che fa vetri a Murano e che nell'insegna scrive Vetri soffiati in stile svedese. Aveva 150 dipendenti e due fornaci, esportava l'intera produzione. Ero bambino, andavamo in fabbrica con mio fratello che mi teneva per mano e mia sorella alla quale, quando correva, si sollevavano le trecce. Superò la terribile crisi del vetro del 1975 rifinanziando l'azienda, diceva sempre che teneva la scorta armata: i fondi da reinvestire. In quel periodo ad accompagnare mio padre nella gestione è entrato mio fratello Lucio, fresco di laurea in legge. Poco dopo sono arrivato anch'io che forse avevo bisogno di regole perché ero il piccolo di casa e mamma con me era più permissiva. Così ero finito a Treviso nel collegio Pio X».


Poi è cambiato tutto?
«Sì perché è morto papà, un tumore alla testa, in quattro mesi se n'è andato. Ci siamo trovati improvvisamente senza la guida, ho lasciato l'università e incominciato in fretta il mio apprendistato, ho imparato formule, segreti, lavorazioni. A 24 anni ero responsabile della gestione produttiva della fabbrica, dovevo confrontarmi con maestri che erano da 30 anni sul loro scanno a soffiare vetro. Alle sei del mattino in fabbrica a preparare le schede produttive, con paura di sbagliare e con pochissima tecnologia, perché il vetro si lavora adesso come mille anni fa. Fino agli anni '90, quando per una diversa visione aziendale con mio fratello ci siamo divisi».


Ed è nata la fabbrica di Federico?
«Con la liquidazione inizio una mia attività sempre nel mondo della luce, nel 1991 fondo la Meltemi, come il vento greco. Mi dedico alle plafoniere di vetro bianco e in una fiera scopro una fabbrica attrezzata in Slovenia e collegata a una ditta che lavora metalli: così è possibile assemblare i prodotti. Abbiamo reso il catalogo talmente ricco che la Cassina, un gigante dell'arredamento, ci ha fatto una grossa offerta. Mi sono messo a produrre calici, ho anche il diploma di sommelier, creando una piccola collezione pubblicizzata sulle riviste di settore: alta degustazione in vetro sonoro superiore. Il cristallo non ha niente a che vedere con la degustazione, volevo dire questo con quel vetro sonoro superiore. Offro elasticità e leggerezza e incomincio dalla ristorazione. Avevo un grande cliente americano, Bernard Gross, vendeva in tutti gli States. Vado con mia moglie a New York, è una città che ti ispira idee, nella camera accanto in albergo c'è una coppia che litiga, così usciamo in fretta e affamati. Piove moltissimo e vedo la pioggia che cade sulle pozzanghere e mi invento questa ondulazione sul bicchiere che accoglie il vino. Disegno la notte stessa, al rientro realizzo il bicchiere in Slovenia e lo brevetto come invenzione industriale».


Quando è nata la Zafferano?
«Nel febbraio del 2001, per nome ho scelto quello che secondo me è il colore della felicità. Io so fare il vetro, voglio creare bicchieri colorati, ma costano se vuoi traslocare in ambito moderno i puntini della lavorazione cinquecentesca. Il risultato è un po' magico, ma per trovare la fabbrica adatta sono finito in Thailandia. Affronto anche la crisi del 2008 mettendo in campo la mia scorta armata. Un cliente in Austria, direttore generale dei supermercati Billa, mi dice che la ristorazione cerca bicchieri con puntini bianchi, ne chiede mezzo milione di pezzi che poi diventano 800 mila. Ho sei mesi di tempo per consegnare i bicchieri fatti a mano uno per uno. Devo scappare fino in Cina, trovare una fabbrica che possa farcela e insegnare come fare. Ma è stato un grandissimo successo che nel 2013 mi ha rilanciato sul mercato e mi ha permesso di investire nel mondo dell'illuminazione, aprendo anche la filiale americana in società col figlio di Gross, Barnett, che ama la chitarra e ha sposato una moglie ricca».


Fino alla Poldina: e adesso?
«Alla Poldina è seguito un treno di altre cose: un catalogo di lampade incredibili, una novità, Push up, una scatola rotonda che a pressione si apre e illumina. Adesso c'è un fondo di investimento, il Gradiente di Padova col 70%, sono entrati nel momento giusto perché la vendita era eclatante e c'era bisogno di spalle larghe. È il momento di rinnovarsi ancora. Mi sono comprato un'azienda di ceramica a Civita Castellana, mi piace tanto, è una sfida che voglio vincere. Poi mi sto spingendo nella ristorazione, apriremo con mio figlio un piccolo locale a Ischia, dentro una pietra scavata, che dà sul mare. Un progetto bellissimo con un pizzaiolo molto bravo e uno chef famoso. Si chiamerà Hera, cucina italiana. Naturalmente sui tavoli ci sarà la Poldina. Che poi si chiama così perché appena ho visto la lampada realizzata mi ha fatto pensare alla nostra cagnetta Polda presa in un canile».

Ultimo aggiornamento: 8 Febbraio, 11:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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