Imprenditore incarcerato in Sudan, nuovo giallo: trovato annegato il mediatore

Domenica 23 Maggio 2021 di Davide Tamiello
L'imprenditore veneziano incarcerato in Sudan: "Dormo per terra con altri detenuti" (una foto d'archivio)
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VENEZIA - «Dormo per terra insieme ad altri detenuti.

L’ambasciata e mio padre mi portano da mangiare una volta al giorno. Non ho mai visto un carcere prima, non mi era mai capitata una cosa del genere, ma quello in cui sono rinchiuso dal 1. aprile è tremendo. Sono qui a causa di una persona che non ho mai incontrato e con cui non ho mai avuto nulla a che fare».

Marco, l’imprenditore veneziano 46enne Marco Zennaro detenuto in Sudan da oltre 50 giorni , è provato ma lucido: questo il messaggio che ha fatto pervenire alla sua famiglia, preoccupata per una vicenda che ora potrà essere risolta solo con l’intervento di una vigorosa attività diplomatica. Il tempo a disposizione non è infinito, anche a giudicare dall’evoluzione degli eventi negli ultimi giorni: venerdì pomeriggio, infatti, è stato ritrovato morto, annegato nel Nilo, Ayman Gallabi, il mediatore con cui Marco aveva trattato la vendita di una fornitura di trasformatori elettrici destinati alla società nazionale di energia elettrica, la Sedec.

Ufficialmente l’uomo sarebbe morto in un incidente durante un’escursione subacquea, una versione che però non convince la famiglia di Marco e le autorità italiane, che temono invece che dietro possa esserci la mano delle Rsf (Rapid support force), le milizie che attualmente operano a Khartoum e che durante la rivoluzione nel 2019 si erano macchiate di centinaia di omicidi. Un sospetto motivato dal fatto che a capo delle Rsf c’è il generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemeti”, che fa parte dello stesso clan di Abdallah Esa Yousif Ahamed, il militare che aveva finanziato la società di Gallabi (e con cui Marco non aveva mai avuto niente a che fare) che doveva acquistare la fornitura di trasformatori dall’imprenditore veneziano con l’accordo di rivenderli poi alla Sedec. 

La drammatica vicenda in cui si era ritrovato Marco era iniziata a marzo. La sua azienda è radicata in Sudan da almeno 25 anni: il padre, prima di lui, aveva portato qui un ramo della sua attività che produce trasformatori elettrici. Il 46enne aveva chiuso un grosso affare con Gallabi, appunto, che però gli aveva fatto sapere che quegli apparecchi avevano dei parametri diversi rispetto a quelli dichiarati nei certificati di collaudo. Marco, allora, aveva raggiunto Gallabi a Khartoum per vederci chiaro. Al suo arrivo però si era trovato di fronte a una situazione singolare: il suo cliente aveva infatti fatto analizzare la sua fornitura dai laboratori dell’azienda concorrente del 46enne. L’imprenditore aveva contestato il metodo, ovviamente, non essendoci il responso di un soggetto terzo e indipendente ma una dichiarazione da parte di qualcuno che poteva avere un forte interesse nello screditare i suoi prodotti. Poco importa: Marco era stato denunciato e arrestato per frode e rinchiuso in custodia cautelare in albergo. Inizialmente aveva trovato un accordo con Gallabi: 400mila euro per chiudere la faccenda e tornarsene a casa.

Un patteggiamento che, però, per Abdallah Esa Yousif Ahamed non era sufficiente. Il miliziano finanziatore ne voleva altri 700mila: motivo per cui Marco è stato arrestato di nuovo in aeroporto e portato in commissariato dove è detenuto, appunto, dal 1. aprile. Marco ha problemi di salute e per questo anche il procuratore aveva autorizzato un trasferimento in ospedale. Trasferimento, però, che la polizia di Khartoum continua a negare.  E le pressioni nei suoi confronti per pagare sono enormi: i carcerieri, per farlo crollare, gli urlano «Regeni, Regeni, paga!», un riferimento decisamente poco velato al caso del giovane Giulio Regeni, il dottorando italiano dell’Università di Cambridge rapito, torturato e ucciso al Cairo nel gennaio 2016. Ma le pressioni sono pesanti anche nei confronti del padre di Marco. Il segretario di Abdullah lo sta inondando di messaggi. «Il problema, signore, è che la fiducia tra tutte le parti è crollata e il motivo è Gallabi (il mediatore morto, ndr) Questo è il motivo per cui il signor Abdullah non permetterà che i suoi soldi vengano pagati attraverso un credito bancario...Vuole i suoi soldi in contanti fino al rilascio di Marco. Spero che si trovi una soluzione, perché la situazione di tuo figlio è difficile in carcere...ho parlato con la polizia per farlo sedere in un ufficio, non in cella, e per essere trattato con gentilezza.. Ma credimi, fai il tuo lavoro e salva tuo figlio da questa tragedia». 

Ultimo aggiornamento: 24 Maggio, 07:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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