Omicidio Cecchettin. Il presidente di Penelope Nicodemo Gentile: «Bravi ragazzi che poi diventano assassini? Prima c'è altro»

Giovedì 7 Dicembre 2023 di Tiziano Graziottin
Nicodemo Gentile, Giulia Cecchettin

«Trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento». Le parole scandite martedì da Gino Cecchettin nel silenzio attonito della basilica di Santa Giustina a Padova, quasi un’invocazione che dalla “tempesta di dolore” nasca una nuova consapevolezza che metta all’angolo i prevaricatori, di certo non hanno lasciato indifferente l’avvocato Nicodemo Gentile. Il penalista 54enne del Foro di Perugia è il presidente nazionale di “Penelope” - l’associazione che assiste le famiglie nella ricerca delle persone scomparse - e come legale segue Elena, la sorella 24enne di Giulia Cecchettin. Volto noto di “Chi l’ha visto”, l’altra sera era a Mirano per il convegno “Mai più” sul femminicidio e la violenza di genere organizzato (diverse settimane prima della tragica vicenda di Giulia) dal Comune veneziano su iniziativa del collega Stefano Tigani, consigliere comunale, pure avvocato della famiglia Cecchettin. È stata l’occasione per analizzare con Nicodemo Gentile i drammatici giorni che ci siamo lasciati alle spalle, proprio per cercare di capire - richiamando le parole di Gino Cecchettin - cosa potrà effettivamente cambiare per effetto dell’onda emotiva e della riflessione collettiva innescate dall’assassinio di Giulia.

Inevitabile partire da un aspetto sul quale da anni si batte “Penelope”, ovvero la necessità che le indagini in caso di sparizione anomala di una persona siano effettuate senza perdere un minuto dal momento della denuncia. In questo senso la raccomandazione emanata la scorsa settimana dal Comando generale dei Carabinieri - in cui si chiede a tutto il personale “accurata e tempestiva gestione degli interventi” - ha dato una prima, importante risposta.
«Sì, quella dell’Arma, è stata una valutazione intelligente che forse parte anche dalla considerazione che nel caso di Giulia, nelle primissime ore della sparizione, ci sono state delle evidenti difficoltà di approccio costruttivo.

Ci auguriamo che questa disposizione rappresenti un punto di svolta, bisogna smetterla con la definizione di “allontanamento volontario” e parlare finalmente di “motivo ignoto”. Un ribaltamento di prospettiva che presuppone tutt’altro atteggiamento quando scatta un allarme».

In relazione al caso di Giulia state insistendo molto sull’aspetto dello stalking psicologico.
«E’ fondamentale riconoscere che è una pratica molto diffusa, subdola ma non meno pericolosa. Ed è un contesto che quasi sempre vede le donne, le più giovani soprattutto, esposte al rischio, capiscono di essere come canne al vento. Anche su questo fronte spero che subentri una diversa consapevolezza perchè capire la situazione che si trovano a vivere queste ragazze è il primo passo per mettersi in grado di aiutarle».

Oggettivamente difficile però intercettarlo.
«Le prime a riconoscere lo stalking psicologico devono essere le vittime, deve subentrare la consapevolezza del rischio. Bisogna far capire alle ragazze che quando i loro compagni diventano aggressivi - perchè vedono il recesso come un atto di insubordinazione - o quando la presenza degli ex compagni si fa assillante, devono farsi aiutare. E accettare il “restiamo amici” è una finestra aperta per chi vuole stazionare nella tua vita a tutti i costi».

Ma fuori dal rapporto col compagno o con l’ex violento cosa trovano queste donne per salvarsi?
«Se le ragazze non riescono ad aprirsi - per mille motivi - con i familiari o con le persone amiche che stanno intorno, devono poter trovare nella scuola un riferimento. Ecco perchè insistiamo con tutta la nostra determinazione sulla presenza degli psicologi a scuola: chi subisce deve poter incontrare personale qualificato, in grado di raccogliere nel modo giusto una testimonianza o uno sfogo. E anche i giudici devono riconoscere lo stalking psicologico, la realtà è che dietro la “improvvisa esplosione di violenza” spesso - come nel caso di Giulia - c’è un pregresso di prevaricazioni, una rete che nel tempo diventa sempre più soffocante intorno alle vittime».

Cosa l’ha colpita in questa vicenda di Giulia?
«La prima volta che mi sono seduto al tavolo con il papà di Giulia gli ho chiesto di cercare di descrivermi il carattere di Filippo Turetta, per quel che lo aveva conosciuto. La risposta è stata “un ragazzo garbato, silenzioso. Molto silenzioso”. Mi sono venuti i brividi, le stesse parole con cui un altro papà aveva descritto il giovane che il 29 maggio 2016 a Roma - in un caso che ho seguito - ha ucciso Sara Di Pietrantonio, la sua ex fidanzata, strangolata e poi data alle fiamme in via della Magliana. L’altro aspetto che mi ha dolorosamente colpito è cogliere - attraverso i racconti che ho sentito, giorno dopo giorno - la personalità di Giulia: una ragazza pura, perbene, senza malizia».

Siamo alla vigilia di una lunga battaglia giudiziaria.
«A prescindere da tutto io mi auguro, anzi sono convinto che la dolorosissima vicenda di Giulia abbia portato tantissime persone a una diversa, nuova consapevolezza rispetto a questa drammatica emergenza». 

Ultimo aggiornamento: 17:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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