Post razzisti, la Cassazione boccia il ricorso e conferma la condanna della prof: «Istigava alla violenza»

L’ex insegnante del liceo paga per le affermazioni sui musulmani, ma non per quelle sui profughi

Mercoledì 22 Marzo 2023 di Angela Pederiva
Post razzisti, la Cassazione boccia il ricorso e conferma la condanna della prof: «Istigava alla violenza»

VENEZIA - Diventa definitiva la condanna di Fiorenza Pontini, ex docente del liceo Marco Polo di Venezia, per i suoi post su Facebook ai danni dei seguaci di Maometto. Con una sentenza depositata nei giorni scorsi, la Cassazione ha infatti respinto il ricorso dell’imputata contro i sette mesi di reclusione (pena sospesa) per il reato continuato di incitamento e provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi. Un illecito che secondo i giudici si configura solo per le offese ai fedeli islamici, non per quelle ai migranti sopravvissuti ai naufragi.

PAROLE
Fra luglio e agosto del 2016, l’allora insegnante di inglese aveva pubblicato una serie di pesanti considerazioni (giustificandole poi come una reazione di dolore alla morte di Valeria Solesin, uccisa nell’attentato del Bataclan). Per tre di queste, la Corte d’Appello l’aveva ritenuta colpevole: «Musulmani tutti delinquenti, vanno estirpati alla radice»; «Ah, poi ho torto quando dico che bisogna eliminare anche i bambini dei musulmani, tanto sono tutti futuri delinquenti»; «Se lo Stato non interviene dobbiamo farci giustizia da soli. Bravo il cittadino di Pomezia (il condòmino che aveva ucciso il vicino islamico dopo un’aggressione, ndr.)». Ora la Cassazione ha deciso che è stato corretto non ritenere sussistente la contestazione per altre parole, che invece il Tribunale in primo grado aveva reputato meritevoli di condanna complessiva a un anno, cioè per quelle relative ai richiedenti asilo in arrivo sulle coste italiane: «Speriamo che affoghino tutti… che non se ne salvi nessuno»; «Ammazzateli tutti»; «Almeno morissero tutti»; «Bruciateli vivi»; «Mi dispiace che qualche profugo si salvi».

DIFESA E ACCUSA
Nel suo ricorso alla Suprema Corte contro la condanna per i primi tre post, la difesa aveva sostenuto che si era trattato di «una manifestazione di pensiero non orientata a determinare azioni di violenza», che non c’era stata istigazione «in quanto l’imputata era stata denunciata proprio dagli studenti» e che «era necessario appositamente consultare» il suo profilo Facebook.

Invece gli “ermellini” hanno stabilito che il reato è stato commesso con quei messaggi, caratterizzati dal collegamento, tramite «forme verbali esortative, impersonali o comunque plurali», con la violenza da compiere. Per la Cassazione, il loro contenuto «esprime un esplicito riferimento alla necessità di compiere atti di violenza motivata dalla religione di coloro che dovrebbero essere vittime», le esternazioni sono state pubbliche e risentono «dell’autorevolezza, in ragione del ruolo di insegnante, di colui che invia il messaggio».

Ecco perché la condanna va confermata per le frasi sui musulmani, ma non sui profughi: «Risulta, dunque, esattamente posto il confine tra le mere manifestazioni di pensiero che, vuoi per il contesto vuoi per il contenuto, si limitano a esternare una posizione culturale, per quanto non condivisa dal comune sentire, e l’istigazione alla violenza riscontrabile in quelle manifestazioni di pensiero dirette a persuadere e muovere all’azione l’ascoltatore». Dopo quella vicenda, la prof Pontini era stata dapprima licenziata e quindi reintegrata, ma in un ruolo amministrativo.
 

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