Il casinò pagava l'hotel ai Casalesi
L'Ad: «Normale, spendevano molto»

Venerdì 27 Giugno 2014 di Maurizio Dianese
I casalesi al casinò di Venezia
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VENEZIA - Ospiti del Casinò di Venezia. Ospitalità completa, da Vip. Per i casalesi finiti in manette l’altro giorno nell’inchiesta della Procura dell’Aquila, salta fuori anche questo e cioè che li ospitavamo a spese del contribuente a Venezia. Sia Alfonso Di Tella che gli altri boss dei casalesi erano considerati clienti importanti e, in quanto tali, come tutti i clienti di riguardo, avevano diritto al trattamento Vip. Si parte dalla camera d’albergo - a 4 o 5 stelle - e si arriva fino a pagare loro il viaggio, il pranzo e la cena. Un soggiorno full optional e totalmente gratuito nella città più bella del mondo.

Nulla di strano, sia chiaro, perché il trattamento da Vip è previsto per tutti i grandi giocatori e questo gruppo di camorristi era composto per l’appunto da giocatori accaniti. Il Casinò ne ha 500 come Alfonso Di Tella e cioè clienti che val la pena di trattare con i guanti visto che lasciano milioni di euro sui tavoli dello chemin de fer. A volte sono imprenditori, a volte sono malavitosi, ma non bisogna nascondersi che sono loro che contribuiscono a formare quel tesoretto che negli anni ha rimpinguato le casse del Comune di Venezia. E siccome il mondo va così e siamo uomini di mondo, Alfonso Di Tella (ma anche i suoi compari camorristi), assieme alle amanti di corto o lungo corso, comprese quelle che duravano un quarto d’ora, dopo aver perso centinaia di migliaia di euro al casinò, appoggiava il suo stanco capino sui cuscini di piume delle camere imperiali che pagava il Casinò. Per riaversi dalle pene delle perdite ingenti di somme che comunque non erano sue, visto che estorceva ai suoi operai fino a metà della busta paga e si metteva pure in tasca i contributi per la pensione e l’eventuale trattamento di fine rapporto.

Scrive la Procura dell’Aquila nella sua richiesta di arresto di Di Tella e altre 9 persone: «Il sistema orchestrato dagli indagati, oltre a creare un intero settore economico nel quale è riscontrabile un pesante sfruttamento dei lavoratori, ha anche alterato profondamente le regole della concorrenza ed ha inquinato sensibilmente il settore della ricostruzione privata. I lavoratori percepiscono una retribuzione solo apparentemente completa e regolare, ma sono obbligati a restituire parte di quanto ricevuto. Viene creata, in tal modo, la disponibilità di ingenti somme di denaro liquido che vengono utilizzate per investimenti all'estero e in sistematiche presenze presso le sale da gioco del casinò di Venezia». Dove erano trattati come clienti di lusso.

L’amministratore delegato del Casinò, Vittorio Ravà, spiega che dei quattromila clienti registrati ci sono 500 clienti che hanno diritto all’ospitalità proprio per la loro capacità di spesa - pardòn di perdita. Ma questo non significa che a Venezia abbiano riciclato i soldi sporchi, precisa Ravà. Anche perchè non avevano bisogno di riciclare un bel niente visto che i soldi rubati ai lavoratori erano già "puliti".

Dunque, i casalesi - da Alfonso Di Tella ad Aldo Nobis e Raffaele Parente - erano semplicemente forti giocatori che bisognava tenersi stretti. E i casalesi si trovavano talmente bene che tornavano molto volentieri a Venezia, dove si davano appuntamento per le decisioni importanti. Tant’è che negli ultimi 10 anni Di Tella ha fatto il suo ingresso più di 400 volte a Ca’ Vendramin Calergi e la Guardia di finanza dell’Aquila stima che per le mani del clan dei casalesi, che aveva fatto del casinò di Venezia una delle sua basi privilegiate per gli incontri ad alto livello, siano passati più di 13 milioni di euro.
Ultimo aggiornamento: 28 Giugno, 07:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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