Treviso, la Consulta boccia la sede staccata di Medicina: illegittima la norma che finanzia il corso con i Lea

Sabato 26 Giugno 2021 di Angela Pederiva
Treviso, la Consulta boccia la sede staccata di Medicina
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TREVISO - Pensare che la legge era stata approvata all'unanimità dal Consiglio regionale, in piena emergenza sanitaria, quando il Covid aveva drammaticamente evidenziato la grave carenza di camici bianchi. Ma dopo essere stata impugnata dall'allora Governo giallorosso, ora è stata bocciata dalla Corte Costituzionale la norma che lo scorso anno aveva istituito il corso di laurea in Medicina e Chirurgia a Treviso, come sede staccata dell'Università di Padova. L'illegittimità è stata sancita per la copertura finanziaria: la Regione non potrà pagare l'operazione con i fondi destinati ai Livelli essenziali di assistenza, ma dovrà trovare una fonte alternativa, se vorrà continuare ad accollarsi gli stipendi dei docenti.


IL TESTO
Si trattava infatti di Disposizioni in materia di finanziamento da parte della Regione del Veneto.

Il testo prevedeva una convenzione di 15 anni con l'Ateneo e con l'Ulss 2 Marca Trevigiana, in base a cui Palazzo Balbi si impegnava a sostenere gli oneri relativi alla chiamata di 18 professori di ruolo e di altri 20 a contratto, necessari a garantire la formazione di 60 futuri medici. La spesa massima preventivata era di 1.570.000 euro l'anno, quindi in tutto 23.550.000, reperiti nel Fondo sanitario regionale e in particolare nel capitolo dei Lea.


IL RICORSO
Ecco il fondamento del ricorso alla Consulta promosso dal premier dell'epoca Giuseppe Conte. A carico del bilancio sanitario sarebbe stato «l'intero costo del personale», quindi «non soltanto la quota parte riferibile alle attività assistenziali svolte dallo stesso corpo docente», erodendo le risorse vincolate alle attività di cura. «Da ciò deriverebbe, di riflesso, l'incisione sui livelli di tutela della salute, e altresì la violazione dei princìpi fondamentali che presiedono al coordinamento della finanza pubblica in materia sanitaria», era stata la tesi dell'Avvocatura generale, la quale aveva inoltre stigmatizzato l'aumento dell'offerta formativa nel settore sanitario, quando invece i numeri degli studenti di Medicina e delle Scuole di specializzazione vanno «determinati dalla legislazione statale in funzione ed in relazione al fabbisogno del personale medico».


LA DIFESA
Proprio questo era però stato il cuore della difesa regionale, nel replicare che la legge era stata «la risposta necessitata alla grave emergenza sanitaria causata dall'inerzia dello Stato o, comunque sia, dall'inadeguato esercizio delle competenze di quest'ultimo, a fronte di una conclamata e più volte segnalata carenza di medici e specialisti». Secondo l'istituzione, dunque, la vicenda non doveva essere collocata nello scenario «formale del riparto di competenze», bensì in quello «sostanziale della tutela dei diritti alla salute dei cittadini, la cui garanzia sarebbe affidata alla stessa Regione, quale soggetto responsabile a livello locale dell'organizzazione del servizio sanitario».


LO SPIRAGLIO
Ma per la Corte Costituzionale, la via finanziaria prescelta è impraticabile. «Ad essere in contrasto con gli evocati parametri costituzionali scrivono i giudici non è l'impegno della Regione a sostenere l'attivazione di un corso di laurea, né il farsi eventualmente carico dei costi per la chiamata dei docenti universitari; invero costituzionalmente illegittima è la copertura degli oneri connessi a tali iniziative con le specifiche risorse ordinarie destinate alle spese correnti per il finanziamento e la garanzia dei Lea». Il verdetto sembra dunque aprire uno spiraglio, tramite l'individuazione di una fonte diversa. «La declaratoria di illegittimità costituzionale non incide né sull'attivazione del corso, già avvenuta, né sulla sua prosecuzione», precisa la Consulta. Ma per ora il Bo a Treviso dovrà fare da sé.

Ultimo aggiornamento: 08:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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