Paolini in scena con "Boomers", la ballata ribelle. «Viviamo in un frullatore, è il prezzo che paghiamo per star dietro all’innovazione»

Martedì 7 Novembre 2023 di Chiara Pavan
Marco Paolini e Patrizia Laquidara (foto Moretto)

TREVISO - Avremo anche inventato lo “slow food”, ma non c’è Malox che ci possa aiutare a “digerire” l’abbuffata tecnologica di questo tempo. «Viviamo in una specie di frullatore, il cervello non riesce a smaltire tutto quello che incamera: è il prezzo che paghiamo per star dietro all’innovazione». Marco Paolini parte per un nuovo viaggio che racconta «un’accelerazione dove tutto cambia», un mondo in rapida trasformazione che ha modificato paesaggi, costumi, modi di vivere e di pensare. E “Boomers”, ribelle “ballata teatral-cybernetica” con cui l’artista apre la stagione di prosa dello Stabile al Comunale Del Monaco, già tutto sold out dal 9 al 12 novembre (poi al Goldoni di Venezia dal 30 november al 3 dicembre e al Verdi di Padova dal 13 al 17 dicembre) , riflette sulle possibili risposte del teatro a un mondo che confonde sempre di più reale e virtuale. Accompagnato sul palco dalla cantante Patrizia Laquidara, l’artista racconta la storia di un figlio che inventa un videogioco immersivo in cui un padre si ritrova ad avere vent’anni.

Il suo mondo perduto fa perno attorno al vibrate “bar della Jole” dentro cui si riflette l’Italia di 50 anni fa, un paese che trema, vibra e si scuote. Se “fuori” le cose corrono, nel bar della Jole si impara a conoscere la realtà, «si gioca, si spara, si canta».

Com’è stato ritrovare il suo alter ego Nicola?

«”Boomers” era nato come il tentativo di mettere un capitolo finale al ciclo degli Album dopo tanto tempo. Ma è diventato un’altra cosa. Se gli Album erano la storia di certi italiani di provincia che si affacciavano al paese, ora invece racconto un ciclo di vita. Sono 50 anni di storia italiana vista attraverso il bar della Jole: parliamo di cambiamento. Insomma, più che local, siamo glocal».

I “boomers” sono uomini e donne nati durante il boom demografico (tra il 1946 e il 1964), quelli che crescevano in termini di nascite, quelli che hanno avuto impatto pesante sul pianeta, che potevano modificare gli equilibri.

«Parto da qui: la spiegazione demografica non mi convince così come non mi convince la spiegazione del conflitto generazionale. Rispetto al presente, ci sono dei limiti».

Ossia?

«“Boomers” parla di un videogioco immersivo, di un mondo virtuale: resto in quel contesto, e mi pongo una domanda. Mi chiedo se non ci sia un uso retorico della memoria, per creare un mondo virtuale in cui una generazione continua a rifugiarsi, incapace di prendere atto del cambiamento. Il mondo di chi è giovane appare virtuale perché è diverso da quello delle generazioni precedenti, ma nello spettacolo è altrettanto virtuale il mondo delle nostalgie, dei rimpianti, cose che poi giustificano sovranismi, negazionismi, suprematismi, insomma, tutte quelle riflessioni di “pancia” che sono soltanto una riproposta di un mondo semplice, in cui non si devono affrontare le cose che abbiamo davanti. C’è sempre quest’idea che prima stavi meglio. Ma non è vero, era solo diverso».

E come lo affronta?

«L’idea dei Greci, quella in cui l’oro stava nel passato e il presente è piombo, è tipica di una società che ha paura. Io ne parlo in maniera leggera, faccio il ritratto di un’Italia di 50 anni, ma dal punto di vista dell’algoritmo che non ha rispetto per le gerarchie di valori, che mescola su tutto».

Quindi dove approdiamo?

«Viviamo in specie di frullatore, questo il prezzo che paghiamo per star dietro all’innovazione. Il cervello non digerisce. Ma questo prezzo non può essere imputato a chi adesso non ti capisce, ma va distribuito in una serie di errori che, in qualche modo, ci sono stati. Proviamo a leggerli adesso. Non punto il dito, sia chiaro, tratto questi temi con certa indulgenza, ma mi tolgo qualche soddisfazione».

Tipo?

«Non diciamolo adesso, roviniamo la sorpresa dello spettacolo. Ma se devo essere cattivo lo sono».

E Patrizia Laquidara?

«La collaborazione con Patrizia Laquidara nasce da un cortocircuito che avevo avuto, pensavo fosse necessario mescolare due linguaggi, il racconto e la canzone. Questo lavoro è andato a fuoco maturando la collaborazione, adesso ci sono dentro 5 canzoni originali che non c’erano un anno fa. Resta il gioco di usare citazioni e gingle, ma la colonna sonora è molto diversa, anzi, è diventata quasi più testo. E poi “Boomers” è l’unico album in cui al centro c’è una protagonista».

Le affida il palco?

«E’ sempre un mondo di maschi, ma “Boomers” ruota attorno alla Jole, una figura sfruttata, usata, maltrattata, ma lei è molto più forte di chi ha attorno. Ho immaginato il mondo in cui la donna che porta i pantaloni desta sospetti».

Bilancio del progetto Vajonts?

«È andato bene: alla chiamata c’è stata una risposta altissima e molto articolata, che facciamo ancora fatica a calcolare. Abbiamo chiesto di scriverci le storie di quello che è successo. E stiamo ancora raccogliendo, nessuno ha intenzione di fermarsi».

Ultimo aggiornamento: 8 Novembre, 16:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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