Treviso. Trasfusione di sangue infetto, paziente contrae l'epatite C: risarcimento di 127mila euro dal Ministero dopo 18 anni

Vittima un uomo di 50 anni, l'iter iniziato nel 2004 con la somministrazione della malattia. Gli accertamenti anche nell'ospedale di Padova

Giovedì 22 Settembre 2022
Trasfusione con sangue infetto. Paziente contrae l'epatite c
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TREVISO - Gli iniettano sangue "malato", inizia il calvario per un paziente trevigiano che oggi viene risarcito dal Ministero con 127mila euro. Nel 2004 entra in un ospedale trevigiano per un problema alle piastrine; gli vengono somministrate per via endovenosa delle immunoglobuline ed esce dal nosocomio con l'epatite C.

Il decorso della malattia

La malattia viene scoperta dal medico di base al quale lo sfortunato paziente si rivolge per un dolore al fianco destro. Dopo una serie di accertamenti clinici scopre che il fegato è compromesso. La diagnosi è infausta: trombocitopeina idiopatica ed epatite C, malattia che prima di entrare in ospedale non aveva. «Come è possibile - sentenzia l’uomo - sono entrato in ospedale che stavo bene ed esco ammalato?» Prima del ricovero e prima dell’infusione di immunoglobuline, infatti, l’uomo era risultato negativo alla ricerca degli antigeni anti-hcv circostanza successivamente confermata anche dalla commissione medica ospedaliera di Padova nell'ambito del procedimento. Per il trevigiano inizia il calvario dentro e fuori gli ospedali. E poi la triste consapevolezza che una malattia di questo genere non solo è difficile da curare ma riduce drasticamente anche l’aspettativa di vita.

Il decorso legale

Passato lo sconforto iniziale si rivolge ad un legale, l’avvocato Fabio Capraro di Treviso. Inizia qui il secondo calvario, quello legato alla trafila giudiziaria. Nel 2013 dopo aver fatto causa al Ministero della Sanità il trevigiano ottiene dal giudice la prima sentenza che condanna il Ministero a rimborsarlo di 60mila euro. Cifra che, nonostante la sentenza esecutiva, non arriva perché il Ministero nel 2015 ricorre in appello.

Dopo due anni la corte d'Appello di Venezia rigetta l’istanza del Ministero ritenendo le motivazioni, che imputavano al paziente di non avere presentato in tempo utile (3 anni dal momento della malattia), infondate.

Il risarcimento

Il 14 aprile scorso, a distanza di quasi 18 anni dal momento della trasfusione infetta che ha causato la malattia cronica, la Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado pronunciata dal tribunale di Treviso nel 2015 e impone, quindi, al Ministero della Sanità italiano di risarcire l’uomo di 127.206,68 euro, al rimborso delle spese ma soprattutto ad un indennizzo mensile di 817 euro. Denaro che il paziente 50enne si è visto in questi giorni accreditare in conto per € 127.206,68. «Mi serviranno per continuare a curarmi anche se avrei preferito avere il conto in banca più leggero e ma avere la mia salute», commenta l’uomo. «Casi di questo genere non dovrebbero mai accadere - ribadisce l’avvocato Fabio Capraro che ha seguito la causa decennale - La salute è un diritto per tutti e quando capita l’errore è triste vedere che il Ministero della Sanità, che dovrebbe essere il primo a tutelare la salute dei cittadini, si trincera dietro a carte bollate per non pagare quanto invece spetta di diritto ad una persona per curarsi. La cifra di 127.206,68 che è stata elargita in questi giorni dal ministero è stata raddoppiata rispetto alla sentenza del 2015 proprio a causa della lungaggine giudiziaria. E’ stato dunque un percorso lungo ma è stata fatta giustizia».

Ultimo aggiornamento: 17:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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