Fabrizio Gifuni e le lettere di Aldo Moro: «Un pozzo nero della memoria»

Domenica 10 Marzo 2024 di Chiara Pavan
Fabrizio Gifuni in scena con "Il vostro irridente silenzio"

TREVISO - Là sul palco, non si sente mai da solo, «dentro di me ci sono 1500 persone che fatico a tenere a bada». Una risata allegra, Fabrizio Gifuni si prende qualche giorno di pausa dopo il tour de force che l’ha portato in scena con ben tre sue drammaturgie che l’hanno impegnato «di testa, di anima e di fisico», “Con il vostro irridente silenzio” sulle carte di Moro scritte durante la prigionia, “Il male dei ricci - Ragazzi di vita” su Pasolini e “Fatalità della rima” dedicato al poeta Giorgio Caproni, in attesa di arrivare in Veneto il 13 marzo, atteso la mattina a Thiene in un incontro con gli studenti dell’istituto Chilesotti, e alle 18 a Treviso, a Palazzo Giacomelli, ospite del format “Cinema è letteratura” di Luca Dal Molin, Mario Sesti e Caterina Taricano. Una serata in cui il celebre attore e regista romano, recente David di Donatello come miglior protagonista per “Esterno notte” di Bellocchio e presto nei panni di Luigi Comencini nel film diretto dalla figlia Francesca, racconterà il suo incontro con lo statista al centro del libro “Con il vostro irridente silenzio” (Feltrinelli), testo su cui poggia un “rituale scenico” che l’artista porta sul palco ormai da 5 anni.

Per riannodare i fili di una memoria perduta, e per capire se «queste carte ci parlano ancora».

E che ha visto?

«Che parlano ancora. Nonostante questi tempi bui e i fendenti menati regolarmente, negli ultimi decenni, a un’idea di memoria storica». Come ha fatto a “muoversi” tra queste carte? Come le ha scelte? «Una scelta basata su incroci, rispettando però il criterio cronologico. Quel centinaio di lettere sono state scoperte soltanto nel 1990, e sono le risposte che Moro diede ai brigatisti nel corso nel processo rivoluzionario che gli veniva fatto nella prigione del popolo. In parte questo Memoriale è una sorta di compendio della storia italiana dal dopoguerra al 1978, che Moro inizia a stendere su carta quando si rende conto che non sarebbe uscito libero dal quella prigionia».

Il suo incontro con Moro è iniziato tanti anni fa.

«Il primo risale al 2010 con il film di Giordana, “Romanzo di una strage”, in cui interpretavo un Moro più giovane, all’epoca, nel 1969, era ministro degli Esteri. Poi l’incredibile viaggio con Marco Bellocchio per “Esterno notte”, ma nel mezzo c’è stata l’occasione che ha dato il via a questo grande progetto da cui poi è stato tratto il libro per Feltrinelli: Nicola Lagioia mi chiese di inaugurare il Salone del Libro il 9 maggio 2018 con la prima lettura pubblica di questo lavoro di drammaturgia in occasione dei 40 anni dalla scomparsa di Moro».

Cosa la colpì?

«Che queste carte, che avrebbero meritato un capitolo centrale della storia contemporanea, fossero sprofondate in una sorta di pozzo nero della memoria. Da quella serata, che fu memorabile per l’emozione, ho iniziato a immaginare l’impatto di questa materia a teatro».

Lei parla di un “meteorite”.

«Definisco questo spettacolo un vero e proprio esperimento scientifico: si mette al centro della scena un “meteorite” che viene da un altro tempo e un altro spazio, ossia le carte di Moro, per vedere se sono ancora dotate di una temperatura in grado di toccare i nostri corpi oggi, nell’Italia del 2024. Protagoniste sono le parole di Moro, che danno vita a una presenza fantasmatica; il fantasma di un testo e il fantasma di un corpo che ci accompagna da tanto tempo».

Un fantasma come anche Pasolini.

«Li chiamo i fantasmi della nostra storia. È come se questi due corpi segnassero una linea di confine tra due momenti, una linea di passaggio tra due Italie: una prima Italia che va dal secondo dopoguerra alla fine degli anni ‘70, e una seconda che inizia negli anni ‘80 e arriva a oggi. I fantasmi sono corpi a cui non è stata data una degna sepoltura, corpi su cui la politica inciampa continuamente, strattonandoli da una parte all’altra, per usarli strumentalmente a seconda dell’occasione. Ma è qualcosa che non ha nessuna possibilità di riuscita: sono corpi troppo complessi che si sottraggono a qualsiasi tipo di strumentalizzazione».

Quindi che si può fare?

«L’unico modo è ascoltarli nella loro interezza. Credo che questi fantasmi abbiano scelto spesso i teatri per far ascoltare di nuovo la loro voce. Il teatro è uno dei pochi luoghi dove ancora resiste una qualità di silenzio che si contrappone al rumore sguaiato che c’è fuori. A teatro c’è la possibilità di condividere un’esperienza reale che passa attraverso i corpi vivi delle persone».

Cosa accade quando sale sul palco?

«Una delle poche cose che ho capito davvero col corpo è che quello che accade sul palco di un teatro è solo una parte di ciò che avviene in teatro. C’è quell’incontro invisibile che non è rappresentabile, è quel campo magnetico che si crea tra i corpi degli spettatori che partecipano attivamente allo spettacolo, e i corpi di scena. E quando si crea questo campo magnetico, il teatro diventa un’esperienza unica, è un respiro comune, un coro». 

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