"Misericordia", quando l'amore cresce nel fango. Emma Dante: «Un film dedicato a mio figlio»

Domenica 5 Novembre 2023 di Chiara Pavan
Un momento del nuovo film di Emma Dante, "Misericordia"

Emma Dante riesce a far sbocciare la “misericordia” anche dove non sembra possibile trovarla, nei mondi più degradati e martoriarti, tra donne ai margini, umiliate e sfruttate, vittime della violenza maschile fino all’estremo, capaci però di stringersi come Erinni pur di proteggere la vita e lo sguardo puro di un ragazzo rimasto bambino. «Avevo bisogno di accendere la luce sulla storia di Arturo, e con il cinema ho potuto farlo, abbandonando il buio, il vuoto, del palcoscenico».  E’ una corsa a perdifiato tra abisso e salvezza il nuovo film “Misericordia”, ispirato all’omonima pièce di qualche anno fa, che la talentuosa e visionaria regista palermitana  presenterà in questi giorni a Nordest in anteprima (sarà in sala dal 16 novembre), a partire da lunedì 6 al Giorgione di Venezia (alle 17.15) e poi all’Edera di Treviso (alle 20), quindi il giorno dopo al Dante di Mestre (ore 17) e poi al MultiAstra di Padova (ore 20.30) e infine, mercoledì 8, al CinemaZero a Pordenone (ore 20.45) e subito dopo al Visionario di Udine.

“Misericordia” è una «storia al limite» ambientata in un borgo marinaro siciliano («siamo nella riserva di Monte Cofano»), dove uomini e donne si trascinano «nell’inferno di un degrado terribile sempre più ignorato dalla società».

Eppure anche qui, in questa realtà squallida intrisa di povertà e analfabetismo, l’inaspettato può rivelarsi. Grazie a tre donne che di giorno lavorano a maglia e la notte si prostituiscono per sopravvivere e far sopravvivere Arturo, ragazzo “difettoso” nato dalla violenza.

Il film si apre con un pestaggio.

«Quello in cui il pappone Polifemo uccide la madre di Arturo a dandole calci sul ventre. E lei, prima di morire mette al mondo il figlio ferito da quella violenza. Eppure Arturo è una creatura libera, felice, non ha la percezione della sua patologia, è un’anima totalmente innocente, che vive nella sua idiozia, è protetto da queste madri che lo crescono e lo accudiscono».

Ha scelto di mettere tanta luce in questo mondo degradato. Una discarica umana in un paesaggio meraviglioso.

«Il corto circuito dovrebbe essere questo. Volevo che in questa disperazione ci fosse comunque la bellezza della natura che contiene e custodisce, alleva, fa crescere».

Da "Via Castellana Bandiera" alle "Sorelle Macaluso" e ora “Misericordia”. Il cinema arriva naturalmente?

«In questo caso è stato abbastanza naturale: ho riscritto la storia con Elena Stancanelli e Giorgio Vasta, volevo sguardi diversi che mi aiutassero a prendere le distanze dallo spettacolo teatrale anche se la storia è analoga. Così, se a teatro il padre e la madre di Arturo venivano soltanto evocati, nel film diventano veri personaggi».

Il suo lavoro, a teatro come al cinema, parte sempre da uno sguardo sul reale che viene poi trasfigurato. Anche in modo onirico.

«Mi faccio sempre tante domande prima di buttarmi. Dal teatro al cinema è un bel volo, ma sia il teatro che il cinema, per me, sono luoghi in cui mi sento sempre in bilico, in pericolo. E questo mi dà molta forza, mi dà vitalità, perché alla fine non mi accomodo mai. Poi mi rendo conto che faccio cose che non possono piacere a tutti. Ma va benissimo così».

Misericordia, una parola così potente eppure così lontana.

«Infatti il titolo evoca tante cose. Per me la parola misericordia ha dentro qualcosa di umano più che di religioso. E’ il sentimento che voglio provare quando vedo un disgraziato. Siamo circondati dalla disperazione. Penso che guardare una storia come questa, anche come una favola raccontata in modo onirico, sia un modo per aprire gli occhi, per accogliere questa disperazione con misericordia. Ci deve riguardare tutti, non va vista da spettatori, ma dobbiamo entrare in connessione, essere partecipi di questo dolore».

Un film che parla di donne e di violenza, di una società patriarcale che tiene sotto scacco il mondo femminile.

«E’ vero, le donne continuano a venire uccise, vengono sfruttate, mercificate, questo è un dato di fatto che non va mai dimenticato, è importante anche spiattellarlo, senza tergiversare. Ma il film parla anche di altro: la maternità, la comunità femminile che si fa carico di un bambino, l’amore che nasce dove meno te lo aspetti, il senso della maternità e della famiglia non tradizionale: il ragazzo si trova con tre madri, e cresce circondato dal loro amore».

La scintilla di “Misericordia” sta qui allora?

«Credo sia stata la mia maternità. Ho adottato un bambino ormai 7 anni fa e questo diventare mamma evidentemente ha scatenato in me cose particolari. Lo spettacolo però è nato dopo aver visto danzare Simone Zambelli, che interpreta Arturo: mi ha folgorato. La sua danza ha a che fare col corpo che racconta di sé, c’è qualcosa di profondamente oscuro e magico allo stesso tempo nei suoi movimenti»

E Baglioni? Come è entrato con “Vedrai?”

«È la prima canzone che ho fatto ascoltare a mio figlio Dimitri quando è arrivato in Itala, e gliela cantavo. Lui è impazzito ed è diventata la nostra canzone. Quindi per me era importante che ci fosse, visto che aveva a che fare con la mia vita e con mio figlio, cui ho dedicato il film».

Ultimo aggiornamento: 10:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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