«Io, nell'ospedale di Emergency a Kabul: curavamo tutti, anche i talebani». Paola racconta paure e successi

Martedì 24 Agosto 2021 di Mauro Favaro
Paola Carmignola
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TREVISO - «Abbiamo sempre curato tutti, senza distinzioni. Anche molti talebani. Il nostro primo principio è quello della neutralità. Ma dopo tutto è lo stesso codice deontologico che porta il personale sanitario a curare ogni persona senza chiedersi da che parte sta. Non possiamo abbandonare chi soffre». Paola Carmignola, 48 anni, infermiera trevigiana della centrale operativa territoriale dell’Usl della Marca, parla della sua esperienza in Afghanistan con voce ferma.

IN MISSIONE
Lei, co-coordinatrice di Emergency in Veneto, è stata tre volte in missione tra Kabul e la valle del Panshir. Per un periodo totale di quasi due anni. L’ultima volta nel 2015, quando si è fermata per otto mesi nel Panshir, dove ha preso forma un ospedale di Emergency per curare non solo i feriti di guerra ma anche le persone che altrimenti non saprebbero dove andare. Si è ritrovata vicina all’esplosione di diverse bombe. Tra queste, un ordigno esploso a cento metri dall’ospedale di Emergency a Kabul. E adesso guarda con il cuore stretto ciò che sta succedendo in Afghanistan. «Ho sentito il direttore del nostro ospedale nella valle del Panshir: si è come sospesi in attesa di capire l’evolversi della situazione – rivela – molte persone che hanno vissuto il periodo dei talebani o che l’hanno sentito raccontare si ritrovano in preda alla paura. E questa sta alla base delle immagini che stiamo vedendo attorno all’aeroporto di Kabul». Carmignola in quella terra si è sempre sentita accolta. Certo, la paura è stata una compagna costante da gestire. Ancora adesso fatica anche solo a sentire i botti dei fuochi d’artificio. Ma in Afghanistan il continuo impegno degli ospedali per curare le vittime della guerra, in alcune occasioni pure con turni di 24 ore, relativizza ogni cosa.

Paola Carmignola a Kabul

IL CORAGGIO
«A volte non è stato semplice, ma ci sono cose che non si dimenticheranno mai – racconta la 48enne – ricordo in particolare un ragazzo di 18 anni che abbiamo curato in terapia intensiva a Kabul. Gli era stata amputata una gamba. Era arrivato con il padre da Kandahar. Quest’ultimo non mi ha mai dato la mano e non mi ha mai guardato negli occhi. Quando è stato dimesso, però, il ragazzo ha abbandonato le stampelle e mi ha abbracciato. E questa è la dimostrazione che quando si lavora con professionalità ed empatia è anche possibile andare oltre alle questioni storiche, culturali e tradizionali». Adesso per Emergency è un momento difficile. Proprio ieri è stato dato l’ultimo saluto a Gino Strada, il fondatore, mancato la settimana scorsa a 73 anni. «Ci ha lasciato un’eredità pesante – conclude Carmignola – non sarà semplice andare avanti senza la sua forza e senza il suo carisma. Ma, di contro, c’è anche una grande voglia di continuare a lavorare per fare in modo che tutte le persone possano sempre essere curate».
 

Ultimo aggiornamento: 17:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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