«A Vo' il virus eliminato dalle misure, Lombardia la Wuhan dell'Europa»

Parla Francesco Zambon, il coordinatore del rapporto pandemico insabbiato

Venerdì 3 Marzo 2023 di Angela Pederiva
Francesco Zambon

VITTORIO VENETO - Francesco Zambon, trevigiano di Vittorio Veneto, è il testimone-chiave della Procura di Bergamo, per la parte riguardante la mancata attuazione e il mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale.

Questa criticità veniva evidenziata nel rapporto "Una sfida senza precedenti", rimasto online per appena venti ore fra il 13 e il 14 maggio 2020, di cui era stato coordinatore proprio l'allora funzionario dell'ufficio di Venezia dell'Organizzazione mondiale della sanità. In questa veste, ieri pomeriggio il 49enne è stato ascoltato dalla commissione Affari sociali della Camera, nell'ambito delle audizioni informali connesse all'avvio di un'inchiesta parlamentare sulla gestione dell'emergenza Covid.


Non basta l'iniziativa dei pm?
«L'indagine penale e l'inchiesta parlamentare sono due aspetti distinti. I magistrati possono incontrare delle difficoltà oggettive nella ricostruzione delle responsabilità personali, basti pensare alla fattispecie di epidemia colposa. Ciò però non toglie che a livello parlamentare possano essere individuate le responsabilità delle scelte politiche e tecniche. Questa analisi è raccomandata da organismi come Oms e Ecdc al termine di ogni emergenza, in modo da valutare la risposta fornita e gli errori commessi, affinché non vengano più ripetuti. Credo che i lavori della commissione dovrebbero poggiare su cinque pilastri, costituiti da altrettante domande. Cosa doveva succedere? Cos'è successo? Cos'è andato bene? Cos'è andato male? Cosa deve essere cambiato?».


Interrogativi che rischiano di esacerbare lo scontro politico.
«La commissione non deve essere vista come un atto punitivo, né deve ridursi a una strumentalizzazione della maggioranza contro l'opposizione. L'inchiesta parlamentare è uno strumento a garanzia del futuro di tutti. Chi dice che il Parlamento non può entrare nella questione, è male informato: Gran Bretagna, Svezia e Nuova Zelanda si sono già mosse. Naturalmente occorre agire alla luce della letteratura scientifica. Un articolo uscito su Lancet il 14 settembre 2022 dice che la risposta mondiale al Covid è stata "un massiccio fallimento globale", per mancanza di razionalità, trasparenza, cooperazione operativa e solidarietà internazionale. Sono carenze che vanno indagate, non solo per rispetto della Costituzione che cita la tutela della salute "come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività", ma anche per le velate responsabilità che l'Italia ha nei confronti dell'Europa».


In che senso?
«Lo studio pubblicato da Nature il 6 aprile 2022 ha evidenziato che all'esordio del Covid in Italia circolavano due "sublineage" del virus: l'uno in Veneto, dove si è autoestinto grazie alle misure prontamente attuate a Vo', l'altro in Lombardia, da dove invece l'epidemia si è poi propagata nel resto del continente. Traduzione: Wuhan sta alla Cina come la Lombardia sta all'Europa».


Quanto hanno pesato le falle nel piano pandemico?
«Di nuovo Lancet ha evidenziato chiaramente la differenza tra chi aveva un piano pandemico e chi no: i Paesi dell'Asia orientale che lo avevano, "sono di gran lunga andati meglio nella gestione della pandemia". Non a caso quelle mancanze sono fra le contestazioni dell'inchiesta di Bergamo e sono anche citate da due delle tre proposte di istituzione della commissione».


Quelle presentate da Riccardo Molinari (Lega) e Galeazzo Bignami (Fratelli d'Italia) menzionano il ritiro del vostro rapporto. L'inchiesta parlamentare sarebbe un modo per renderle giustizia dopo la rottura con l'Oms, dottor Zambon?
«Il nostro lavoro era il tentativo di correggere in corsa gli errori, mostrando elementi di criticità e punti di forza. Il ritiro è avvenuto in una fase opaca di gestione. Rendere giustizia? Sì, ma non tanto a me: è un obbligo morale nei confronti dei 188.000 morti per Covid, conto probabilmente sottostimato, e di tutti noi cittadini».


A distanza di tre anni, come ripensa al whistleblowing, cioè alla segnalazione di illecito all'interno dell'ente pubblico?

«È un dovere nell'Oms rispettare il codice di comportamento. Chi viene a conoscenza di un illecito, ha l'obbligo di segnalarlo e l'Organizzazione ha il dovere di proteggere il dipendente. Ecco perché ho intentato una causa davanti al Tribunale internazionale del lavoro di Ginevra: l'Oms non solo non mi ha tutelato rispetto alle pressioni subite, ma mi ha pure spinto a dare le dimissioni».


Dove lavora adesso?
«Ho vinto il concorso bandito dall'Ulss 2 Marca Trevigiana, dove sono referente aziendale del piano pandemico e responsabile delle liste di attesa. Sono molto riconoscente a questa realtà, per il clima positivo che ho trovato, dopo che il mio reinserimento lavorativo non è stato per niente facile. Nel privato nessuno mi assumeva. I cacciatori di teste negli Stati Uniti si sono complimentati per il mio curriculum, ma mi hanno scartato con questa spiegazione: "Sei troppo trasparente, quale azienda non ha qualcosa da nascondere?". Noi whistleblower siamo tutti marchiati perché ritenuti troppo integri».


Quindi lo rifarebbe?
«In questi tre anni mi è stata posta spesso questa domanda e puntualmente ho cercato di svicolare, perché avrei dovuto dire che no, forse non lo avrei rifatto. Oggi, cioè dopo che la Procura di Bergamo ha chiuso le indagini, per la prima volta posso rispondere con un secco sì: lo rifarei».

Ultimo aggiornamento: 5 Marzo, 19:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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