Il direttore Usl 2: «Incubo geriatria, il virus è entrato così in ospedale»

Mercoledì 29 Aprile 2020 di Paolo Calia
Al centro il direttore dell'Usl Francesco Benazzi

Il pensiero va sempre lì: a quanto è accaduto nel reparto di Geriatria del Ca’ Foncello, tra febbraio e marzo. Alla diffusione del virus tra gli anziani ricoverati, i medici e gli infermieri. Agli sforzi fatti per tenere sotto controllo la situazione, per non farsi prendere dalla paura. «È stato il momento peggiore di tutto questo periodo, un incubo», ammette Francesco Benazzi, direttore generale dell’Usl 2. Alla vigilia della fase 2, anche se molto blanda per come l’ha disegnata il Governo, il direttore oltre a guardarsi indietro tenta anche di leggere le carte per capire cosa può nascondere il futuro.

Dottor Benazzi, il cruccio resta quanto accaduto a Geriatria.
«Purtroppo, il virus è entrato in ospedale quando meno ce lo si aspettava».

In quei giorni l’allerta era già alta.
«Sì ma le disposizioni arrivate da tutti gli organismi sanitari e scientifici erano di controllare con grande attenzione solo chi aveva avuto contatti con la Cina: chi c’era stato di recente o era passato nelle aree a rischio. E c’era un protocollo dettagliato da seguire».

Invece il virus è entrato da un pertugio non sorvegliato?
«In realtà era tutto sorvegliato in base alle indicazioni ricevute, che però non erano del tutto corrette».

Cosa si sarebbe dovuto fare?
«Quello che abbiamo fatto dopo, controlli e tamponi a tappeto. Per tutti».

Questa pandemia cambia anche il modo di organizzare la sanità sul territorio?
«Prima mai nessuno aveva dovuto gestire una pandemia. Per me è stata la prima volta in 35 anni di lavoro: la Sars, qualche anno fa, non ci ha praticamente toccato. Adesso abbiamo capito tante cose. La prima: l’ospedale deve essere utilizzato solo per i casi acuti. In questo modo si limita di molto la possibilità che l’infezione si espanda».
Voi lo avete fatto con la quarantena domiciliare.
«Sì. E dovremo continuare a potenziare le strutture necessarie a garantire il controllo direttamente nel territorio. La gestione domiciliare dei casi positivi si è rivelata importantissima per limitare il contagio, ci ha consentito individuare e trattare per tempo tutti gli eventuali focolai».
L’uso delle strutture ospedaliere è cambiato anche da parte dei cittadini.
«Certo, guardiamo il Pronto Soccorso. Anche nel periodo più difficile del contagio, ha sempre lavorato. Ma la gente ha seguito il consiglio di andarci solo per casi veramente gravi. E abbiamo avuto una riduzione drastica degli accessi. Questa è la linea da seguire».
Il contagio ha evidenziato il problema delle terapie intensive.
«Il Veneto ha saputo reagire bene mettendo a disposizione tutte le postazioni necessarie. Uno sforzo che verrà mantenuto. Ma se c’è una buona gestione territoriale, si limitano i casi più gravi e così si sgravano le terapie intensive».
Da medico, che si aspetta dalla graduale ripresa della vita di tutti i giorni?
«Non sono preoccupato dal riapertura delle attività produttive o commerciali, dal fatto che la gente torni al lavoro. Ogni tipo di azienda o negozio ha capito cosa si deve fare, quali sono le misure di sicurezza da tenere. E poi la gente sa che deve indossare la mascherina e i guanti e ci sono i controlli. Quello non mi preoccupa».
E invece, cosa la preoccupa?
«La gestione del tempo libero, quando ci si rilassa e si tende ad abbassare la guardia.

La mascherina va indossata sempre, sul lavoro e fuori. Non c’è il liberi tutti. Non è che da maggio o da giugno si potrà prendere e andare in spiaggia fare la grigliata senza protezioni. Basta una persona asintomatica senza mascherina che esce con cinque amici, per contagiarli tutti è cinque. Stiamo attenti, sempre».

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