Carcere minorile di Treviso, il nuovo direttore dell'Ipm di Santa Bona Girolamo Monaco: «Voglio ridare un futuro ai ragazzi»

Domenica 6 Agosto 2023 di Maria Elena Pattaro
Carcere minorile di Treviso, il nuovo direttore dell'Ipm di Santa Bona Girolamo Monaco: «Voglio ridare un futuro ai ragazzi»

TREVISO - «Vogliamo restituire il futuro ai ragazzi che entrano qui». Girolamo Monaco, il nuovo direttore del carcere minorile di Treviso, sa di avere di fronte a sé una sfida. L’istituto penale per minorenni (Ipm) di Santa Bona ha riaperto a fine luglio, dopo un anno e mezzo di chiusura forzata per i danni provocati dall’incendio scoppiato durante la rivolta di aprile 2022. A fine luglio la struttura è tornata a regime e ad oggi ospita già tre adolescenti. Una ripartenza in salita, viste le polemiche del sindacato Fp Cgil, che nei giorni scorsi ha presentato un esposto in procura per fare luce sulla «poca sicurezza della struttura, soprattutto in caso di incendio». Segno che la ferita della rivolta non si è ancora cicatrizzata del tutto. Ma Monaco sorride nel cortile interno dell’istituto, dove si affacciano le celle dei ragazzi. «Ho l’impressione che qualcuno stia remando contro. Noi però siamo qui per fare il nostro lavoro e per offrire un’opportunità di riscatto e di reinserimento a questi ragazzi» dice lasciandosi alle spalle la stanza dei colloqui e addentrandosi nella sala comune. Sogna un carcere «umanizzato, dove tutto può essere oggetto di confronto e di mediazione». In trent’anni di carriera, come educatore e poi come direttore di carceri minorili si è convinto che «i veri mostri si creano quando manca il dialogo, quando le regole vengono applicate alla lettera senza spiegare i motivi che ne stanno alla base».

Regola e anima, dunque: sono questi i due princìpi che tenterà di conciliare durante il suo mandato, con il proposito di lasciare il segno, in una struttura che nessuno voleva dirigere, complice lo stigma che dopo la rivolta accompagnava l’Ipm. Girolamo Monaco, siciliano di 60 anni, ha raccolto la sfida dopo le esperienze maturate a Catania, Acireale e Caltanissetta. 


I NUMERI
L’Ipm di Santa Bona, struttura di riferimento per tutto il Nord Est, può ospitare 12 ragazzi, anche se il ministero della Giustizia ha deciso di abbassare il tetto a 10 per avere più spazi a disposizione. L’organico conta 29 agenti di polizia penitenziaria, 5 educatori e un servizio sanitario condiviso con la vicina casa circondariale. Altre figure-chiave sono il mediatore culturale per i ragazzi stranieri e l’animatore sportivo. Ci sono poi gli insegnanti che durante l’anno vengono a fare lezione in carcere. L’offerta formativa copre tutte le scuole di ogni ordine e grado e i percorsi vengono progettati insieme ai ragazzi, in base alle esigenze e agli interessi di ciascuno. Traguardi raggiunti con pazienza, in decenni di lavoro e di cui ora si stanno riannodando i fili.


I PROGETTI
«I ragazzi passano nove ore fuori dalla cella più il tempo dei pasti - spiega il direttore -. È importante che stiano in gruppo e impegnino il tempo in modo costruttivo. Abbiamo la responsabilità di restituirli al territorio. Non siamo un’isola, ma un tutt’uno con territorio. Per questo il carcere deve essere “aperto” all’incontro con ciò che sta fuori». Come? Attraverso laboratori, attività e incontri con i coetanei. «In cantiere c’è anche un corso con dei vogatori - spiega Monaco -. Ecco, il mio desiderio per quest’anno è che anche un solo detenuto ottenga un permesso per disputare la gara fuori». L’obiettivo è far capire che il carcere può essere un incidente di percorso, non uno stigma indelebile. Un punto di svolta verso un futuro più luminoso, non una spirale ripiegata sugli errori del passato. «I reduci alla “Rambo” fanno solo danni - osserva il direttore -. Il carcere è davvero efficace se permette al detenuto di capire che deve restituire alla società qualcosa che ha tolto e cioè la serenità di una vita tranquilla». Una giustizia a “tre facce” dunque: punitiva, riabilitativa ma anche riflessiva. «Mi viene in mente il caso di un ragazzo finito dentro per la rapina a un bar. Anni dopo ha scritto una lettera al barista: “Tu forse non ti ricordi di me. Sono il ragazzo che ti ha rapinato. Ti chiedo solo di poter venire da te, a bere un caffè e di pagarlo, stavolta”. Ecco, questo è il carcere che sogno per i nostri ragazzi».

Ultimo aggiornamento: 12:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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