Alessandro, il trevigiano floor manager del santuario dei Beatles

Lunedì 9 Luglio 2018 di Elena Filini
Alessandro, il trevigiano floor manager del santuario dei Beatles
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Alessandro Cossu, 25 anni, è floor manager al The Cavern, il club che lanciò Lennon e soci È partito per l'Inghilterra nel 2015 e non è più tornato: «Lavorare qui è un sogno che si avvera».

Vivere e lavorare al numero 10 di Mathew Street, in un luogo entrato di diritto nella storia. Immerso nella nebbia di Liverpool, città industriale e cuore dem d'Inghilterra, c'è un locale che ha segnato la rivoluzione dei mitici Sixties. Alessandro Cossu, trevigiano, 25 anni, ha scelto di provarci. Mettendo insieme la passione per la musica e l'amore per il calcio. Ha puntato dritto al pub cult della musica pop internazionale. E oggi è floor manager e insegnante di  batteria al Cavern club, l'ex rifugio bellico dove, negli anni Sessanta, nacque la leggenda dei Beatles. «L'Inghilterra? Amore a prima vista. Mi trascinavo stancamente all'università. Ho inseguito il mio sogno. E oggi sono felice». Com'era dov'era. Nel 1984 il mitico locale dei Beatles riaprì dopo circa nove anni di chiusura. Ma venne ricostruito con gli stessi mattoni. «Quando venne aperto, il Cavern voleva imitare la tendenza dei club come Le Caveau che erano dei veri e propri scantinati sotterranei a forma di cantine. Ma il grande salto arrivò negli anni Sessanta. I Beatles misero piede qui, per la prima volta, il 21 febbraio 1961, al loro ritorno da Amburgo. E sul palco del Cavern suonarono 292 volte. Poi il declino e la chiusura. Ma oggi il Cavern Club, riaperto a metà anni Ottanta, non è una semplice meta turistica. È un santuario. E come tale visitato ogni giorno da persone che arrivano da tutto il mondo». 
Che atmosfera si respira oggi al Cavern? 
«Sono da più di due anni che lavoro al Cavern Club. Ho cominciato come semplice bartender ed ora sono Floor manager (mi occupo cioè della relazione con i clienti) e lavoro per la scuola di musica Cavern school academy come insegnate di batteria. È un posto in cui si può ancora tastare la stessa atmosfera degli anni 60, sfortunatamente senza i favolosi 4 on stage. È stimolante il tipo di lavoro nel senso che ti spinge veramente al limite mentalmente e fisicamente ma posso garantire che il duro lavoro è sempre stato ripagato. Sono fiero di quello che faccio». 
Perchè proprio Liverpool? 
«Sono nato a cresciuto a Treviso, ho frequentato il Duca degli Abruzzi, poi ho tentato per un paio di anni l'università ma non mi ha mai soddisfatto del tutto. Guardando la tv capitai su una partita di Premier League , ed era il Liverpool. Fu amore a prima vista, l'atmosfera , sentire i tifosi che cantavano You'll never walk alone trainando e supportando la squadra, non si parlava più solamente di calcio ma di stile di vita. Poi ovviamente ho una passione infinita per la musica, in particolare per i Beatles e per i The Who. Lo devo soprattutto agli insegnamenti dei miei genitori che ancora credono nella musica e nei valori degli anni 60. Così ad un certo punto mi sono guardato allo specchio e mi sono detto perché no? Non ho niente da perdere, mal che vada torno a casa. E così ormai sono da più di due anni qui fisso a Liverpool. E sto benissimo». 
Che tipo di impatto ha nei clienti e sulla città il locale? 
«Qui sono nate leggende come i Beatles. Il Cavern Club rimane un cult per gli amanti della musica non solo dei Beatles. Basti pensare alla lista di band che sono passate per quel locale come Beatles, The Who, Rolling Stones, Queen, Arctic Monkeys , Oasis e via dicendo. Ovviamente rimane il locale d'eccellenza dedicato ai Beatles e cui dobbiamo veramente tutto. Quattro ragazzi che da niente hanno cambiato il mondo totalmente. Parliamo di molto di più che sola musica e se la gente continua dopo 60 anni a venire al Cavern un motivo ci sarà. Abbiamo clienti locali e quindi dall'area di Liverpool (qui li chiamiamo scousers) e clientela proveniente da tutto il mondo». 
È cambiato qualcosa dopo la Brexit? «La questione Brexit è un punto interrogativo. Sinceramente non so cosa accadrà o cosa aspettarmi. Il Cavern Club va oltre queste cose, tutti sono i benvenuti. Non preclude a nessuno la possibilità di passare del buon tempo con la musica migliore al mondo». 
Nostalgie? Le manca l'Italia? 
«Ovviamente casa manca tutti i giorni. I miei genitori sono i miei migliori amici e non posso negare che ne senta la mancanza. La mia band, i The Mild, non avere la possibilità di suonare costantemente con loro fa male. Però sono felice di vivere qui, ormai mi sono stabilizzato anche sentimentalmente e il duro lavoro sta ripagando. Forse a mancarmi davvero è il cibo trevigiano: radicchio, polenta e qualche buon calice» 
Ha senso riaprire un luogo di culto che ad un certo punto ha chiuso i battenti? Mossa commerciale o debito di memoria? 
«Chiaramente su quel palco non ci sono più loro. Ma nel tempo il Cavern è riuscito ad essere ancora la cattedrale del pop, lanciando nomi importanti. Sarò un nostalgico, ma a me quell'aria sembra ancora di respirarla. O forse io, chi qui lavoro, e chi viene a visitare questo posto, ha bisogno di condividere un sogno. Questa musica ha abitato la giovinezza di molti di noi. È come passarsi il testimone e condividerne ancora l'emozione». 
 
Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 09:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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