Violenza di genere, a Rovigo i dati dicono che ci sono poche denunce: «Paura e giustizia ancora troppo lenta»

L’università di Ferrara a palazzo Angeli ha chiamato gli addetti ai lavori a discutere

Martedì 21 Novembre 2023 di Nicola Astolfi
Il convegno organizzato da questura e Rovigo e Dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Ferrara a palazzo Angeli

ROVIGO - Solo il 15 per cento delle donne vittime di violenze riesce a denunciarle e appena il 35% ne parla con qualcuno. Queste statistiche e «i molti i casi non portati alla luce, perché - spiega il questore di Rovigo, Giovanni Battista Scali - si ha paura delle conseguenze e paradossalmente, più si conoscono gli strumenti giuridici, meno si interviene», mostrano che per eliminare le violenze contro le donne e reagire al femminicidio di Giulia Cecchettin non basta accontentarsi di inasprimenti di pena o nuove aggravanti specifiche. Per evitare che il femminicidio della studentessa padovana (il suo caso è il numero 105 da inizio anno) resti l’ennesimo senza le risposte necessarie a creare le condizioni per un cambiamento, anche ai non addetti ai lavori va chiarito perché i processi con vittime di genere femminile e minori, non sono processi come gli altri, ha spiegato il procuratore Manuela Fasolato, intervenendo al convegno che la questura e il Dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Ferrara hanno organizzato nella sede universitaria di palazzo Angeli, nell’ambito delle iniziative dedicate alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Dall’abrogazione delle disposizioni sul delitto d’onore e sul matrimonio riparatore, nel 1981, alle disposizioni contenute nel Codice rosso del 2019, «la normativa ha fatto passi da gigante», ha precisato Fasolato. Tuttavia, perché le previsioni di legge possano tutelare le vittime, occorre anche «fornire le forze di polizia e la magistratura di un numero di persone in grado di prendere in carico le azioni». Ed evitare quindi, per esempio, che a oggi per le risorse sottodimensionate negli uffici giudiziari, la situazione sia tale che «non ci sono date sufficienti per procedere sui reati entro i termini di prescrizione».

SENTENZE IN AFFANNO

Mentre il tempo scorre, si devono pure fare i conti con le previsioni contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Pnrr impone, entro il 2026, di ridurre del 25% i tempi di trattazione di tutti i procedimenti penali (rispetto al 2019), poi di pronunciare il non luogo a procedere qualora gli elementi acquisiti non consentano una “ragionevole previsione di condanna”. «Quali sono i processi con donne vittime di violenza che hanno un esito sicuro?», ha chiesto il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo. Che poi, ha chiarito, sulle specificità di questi procedimenti hanno maglie «molto allungate»: succede, nonostante i soli tre giorni per il Pm per assumere informazioni dalla vittima o da chi ha presentato la denuncia-querela, che poi ritardi procedimentali e processuali del sistema lasciano la persona offesa sola ed esposta al rischio della ritrattazione. La solitudine e i rischi per le vittime di violenza, tuttavia, non finiscono qui. Fasolato ha aggiunto, alla necessità del supporto psicologico per affrontare i passi del procedimento, i rischi della cosiddetta “vittimizzazione secondaria”: si realizza quando sono le istituzioni stesse a non garantire le tutele previste. Accade, ha spiegato sempre Fasolato citando la Corte europea per i diritti dell’uomo nel condannare l’Italia sulla “sentenza Talpis” (il caso riguardava una giovane donna che aveva denunciato di essere stata violentata da sette uomini), quando è la stessa motivazione giudiziaria a contenere stereotipi “suscettibili di impedire l’effettiva protezione dei diritti delle vittime di violenza di genere”, pur in presenza di “un quadro legislativo soddisfacente”.

ALTRI INTERVENTI

Prima dei relatori, tra loro anche i professori Marco Venturoli e Arianna Thiene e il commissario Marica Bozzelli, era intervenuta la direttrice del Dipartimento di Giurisprudenza, Serena Forlati: «Il primo pensiero va a Giulia e alla sua famiglia: il diritto penale è l’extrema ratio, ciò che serve è un quadro di prevenzione efficace». «In Italia non occorrono decreti legge e pacchetti sicurezza, ma politiche strutturali e ben ponderate», ha aggiunto il professor Ciro Grandi, coordinatore del corso di laurea a Rovigo e moderatore del convegno, spiegando così che il diritto penale ha più bisogno di stabilità che di novità.

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