Il Polesine è la provincia veneta con meno contraccolpi per la crisi: duemila contratti in più

Lunedì 24 Gennaio 2022 di Francesco Campi
In Polesine il 2021 ha visto un saldo positivo di duemila contratti di lavoro

ROVIGO - Il Polesine si conferma la provincia del Veneto che ha subito minori contraccolpi occupazionali per effetto della crisi pandemica.

Almeno fino a questo momento. Il bilancio finale del 2021 fa registrare numeri confortanti, dopo che nel 2020 le ripercussioni erano state le meno pesanti a livello regionale. Nel raffronto con il 2019, l’anno ante-Covid, nel 2021 il mercato occupazionale relativamente alle posizioni di lavoro dipendente nel settore privato, in Polesine ha fatto registrare un saldo, ovvero la differenza fra contratti attivati e contratti cessati, più che doppio: sono state infatti 2.043 le posizioni lavorative in più, rispetto alle 969 del 2019, dopo che nel 2020 il saldo era stato comunque in attivo, unica provincia con il segno più del Veneto insieme a Treviso, e con un incremento pari a 734 posti di lavoro.

I NUMERI
L’andamento del flusso delle assunzioni è stato di 29.723 nuovi contratti nel 2019, di 26.518 nel 2020 e di 29.311 nel 2021. Quindi, nell’anno che si è appena concluso, il numero dei nuovi contratti è stato sostanzialmente pari all’anno pre-crisi, mentre per quanto riguarda le cessazioni, sono state rispettivamente 28.754, 25.784 e 27.268. A contribuire alla tenuta occupazionale polesana sembra essere stata soprattutto la riduzione dei contratti giunti a conclusione e su questo ha avuto un effetto anche il pacchetto di misure varate proprio per fronteggiare la situazione emergenziale. In particolare, nella provincia i licenziamenti per motivi economici di occupati a tempo indeterminato sono passati dagli 843 del 2018 agli 888 del 2019, per poi crollare a 299 nel 2020, tornare a risalire a 476 nel 2021, il 59,2% in più rispetto al 2020, ma il meno 46,4% rispetto al 2019.

IL COMMENTO
Tutti questi dati emergono dall’ultimo report sul mercato occupazionale di Veneto lavoro nel quale si sottolinea, appunto, che «il blocco dei licenziamenti ha avuto un effetto molto rilevante sia nel 2020 che durante l’anno appena trascorso. A oggi il salto avvenuto con la fine di giugno è in accordo con gli anni “normali”, il protrarsi della fase di modesta crescita tende costantemente ad accentuare la differenza con il passato. La nuova cesura di fine ottobre sembra non aver provocato una sostanziale riduzione del differenziale con i due anni pre-crisi. La pandemia ha investito il sistema economico regionale quando esso aveva recuperato e accresciuto i livelli occupazionali presenti prima della crisi del 2008. Se dall’estate del 2017 si era tornati ai livelli pre-crisi e se in quella del 2019 si erano toccati nuovi massimi occupazionali, la caduta avvenuta a partire dal marzo 2020 è stata sicuramente severa e tale da quasi azzerare tali incrementi. Con il nuovo anno i saldi positivi sembrano ritornare a disegnare un trend espansivo, accentuato nel mese di giugno e consolidato in quelli seguenti. A oggi, a partire dal 23 febbraio 2020, il bilancio occupazionale grezzo del settore privato con riferimento ai tre contratti principali (tempo indeterminato, determinato e apprendistato) è in Veneto positivo per più 17.000 posizioni lavorative. È un risultato che sconta l’utilizzo massiccio della cassa integrazione, il blocco dei licenziamenti, che media performance diverse tra territori e settori, oltre a riflettere momenti diversi del ciclo stagionale».

LA DISOCCUPAZIONE
Tornando ai dati polesani, il flusso delle dichiarazioni di disponibilità, richieste che determinano formalmente l’inizio dello stato di disoccupazione, nel 2019 erano state 7.605, nel 2020 5.663 e nel 2021 6.488. Nell’analisi di Veneto lavoro, relativamente al dato analogo a livello regionale, 125mila dichiarazioni nel 2021, in diminuzione rispetto al 2019 del 13%, si rimarca come sia un risultato imputabile sostanzialmente all’irrigidimento del mercato del lavoro e a un possibile effetto scoraggiamento, entrambi attribuibili soprattutto alla prima parte dell’anno.
Quello che manca, a livello di dettaglio provinciale, è l’analisi sulla tipologia dei contratti, oltre che sulle retribuzioni. A livello regionale, il bilancio del 2021 è stato negativo solo per l’apprendistato, meno 3.900, ma il tempo indeterminato, con 5.200 contratti in più, è cresciuto decisamente meno rispetto al 2019, quando l’incremento era stato di 46.500.

Ultimo aggiornamento: 15:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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