Siviero, omaggio alla spia
che salvò l'arte italiana

Lunedì 1 Agosto 2016 di Sergio Frigo
Siviero, omaggio alla spia che salvò l'arte italiana
Parafrasando il titolo di un celebre film di James Bond potremmo definire Rodolfo Siviero "la spia che... amava l’arte". Un sentito omaggio allo 007 toscano, figlio di un sottufficiale dei carabinieri veneziano, Giovanni, compare da qualche giorno sul sito dei servizi segreti italiani http://www.sicurezzanazionale.gov.it/, a firma di Francesca Bottari, già autrice di una biografia dell’uomo che nella sua vita recuperò al patrimonio artistico italiano qualcosa come 3mila opere.
Un eroe nazionale, dunque, più ancora degli altri "monument men" Ugo Ojetti, Pasquale Rotondi e dell’americano Dean Keller, che i beni artistici si "limitarono" a salvarli, dai bombardamenti alleati e dalle ruberie dei nazisti. Se la sua figura è rimasta un po’ in ombra, scrive la Bottari, è «a causa di un’esistenza condotta all’insegna della segretezza e della doppiezza, oltre che di una pervicace ostilità verso ogni appartenenza politica, aspetto che gli ha procurato scarse simpatie trasversali». Ma anche la lunga militanza nei servizi segreti fascisti del giovane aspirante critico d’arte (nato nel 1911 a Guardistallo (Pi), dove il padre era comandante della stazione dei carabinieri) non ne ha aiutato la reputazione, anche se già alla fine degli anni Trenta, dopo una missione segreta in Germania (terminata con un’espulsione come persona non gradita), Siviero aveva iniziato un disimpegno dal regime che l’avrebbe portato presto sull’altra sponda.
«Durante la guerra, a Firenze - racconta infatti la studiosa - egli organizzò e diresse un nucleo clandestino che in collaborazione con gli alleati e i partigiani svolse una rischiosa attività spionistica, grazie alla quale, subito dopo la liberazione, venne recuperata un’enorme quantità di opere d’arte e oggetti vari di alto valore storico – oltre che archivi, biblioteche, preziosi documenti – che giacevano nei nascondigli o nelle raccolte private del Reich». Siviero e i suoi uomini non si limitavano a questo: tenevano infatti sotto osservazione i convogli che trasportavano verso nord il materiale artistico italiano, anche per scongiurarne i bombardamenti da parte degli angloamericani. Il lavoro di intellingence è meticoloso e puntuale, rivelando, come emerge dai suoi diari, anche episodi inediti e a loro modo gustosi: come il festino con torce e candele organizzato a Merano intorno alla Venere di Tiziano dai soldati nazisti che scortavano centinaia di capolavori oltre confine.
Dopo la guerra il detective, divenuto alto funzionario dello Stato italiano con un incarico speciale, partecipa in prima persona al ritrovamento dei beni trafugati da nazisti e stoccati nei nascondigli altoatesini durante l'occupazione, mettendo a segno colpi clamorosi. E questo nonostante negli anni dell'epurazione, come rileva il sito degli 007 italiani, all'ex spia fascista fosse stato «progressivamente negato il credito culturale. Quando riporta in Italia il Discobolo rapito da Hitler o la Danae di Tiziano finita in dono a Göring o ritrova l'Efebo di Selinunte rubato dalla mafia, i risultati del suo lavoro, quanto più sono spettacolari, finiscono per rinvigorire l'immagine dell'uomo ambiguo e sfuggente».
Altrettanto importante fu l’aver ottenuto, nel 1948, la modifica dell’articolo 77 del Trattato di pace firmato a Parigi nel 1947 dalle potenze europee, grazie alla quale l’Italia potè negoziare la restituzione delle opere d’arte acquistate in modo proditorio dalle alte cariche naziste prima dell’armistizio. Diventato responsabile della Delegazione italiana per le restituzioni, l’ex agente segreto portò avanti per quasi trent’anni le sue ricerche, anche fuori dall’ambito post-bellico: si pensi che quanto è morto, 72enne, nel 1983, era sulle tracce di altre 2500 opere d’arte. Nonostante questo, osserva la storica dell’arte, Siviero ha ottenuto la pensione dello Stato italiano solo da morto, dopo averne fatta richiesta per anni.
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Ultimo aggiornamento: 10:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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