Noi, la "Generazione perduta" che sogna
un'Italia moderna e piena di opportunità

Mercoledì 22 Agosto 2012 di Mariangela Vaglio *
Mariangela Vaglio
Una mattina ti alzi e leggi che il Presidente del Consiglio ha detto che la tua una “generazione perduta”: una generazione, in pratica, destinata al macello sociale e personale, perch qualcuno deve pagare i conti degli sprechi e della malagestione precedente, e qual qualcuno sono i 30/40enni di cui tu fai parte, che dovranno rinunciare a servizi e pensioni garantiti bene o male ai padri e agli zii.



Non che non te fossi già accorto che quel conto sarebbe arrivato da saldare a te. Hai 30/40 anni, non sei più un bambino, non credi più alle favole, e due rapidi conti te li sei già fatti in tasca da mo. Ma sentirselo dire così, con una frase che taglia anche la speranza di un miglioramento nel futuro, non solo fa male, fa proprio girare le scatole. Perché va anche bene accettare che dovrai essere tu a saldare conti che non sono nemmeno del tutto tuoi per permettere allo Stato di ripartire, ma allora, in cambio, pretendi almeno che alcune regole di base siano chiare e siano messe bene per iscritto; altrimenti, invece che un cittadino che contribuisce ai bisogni dello Stato, ti senti solo un parco buoi.



Nasce così il Manifesto della Generazione Perduta, pubblicato da un gruppo di 30/40enni su internet ai primi di Agosto, e diventato un caso non solo perché, nonostante il periodo di ferie, ha raccolto in pochi giorni qualche migliaio di adesioni, ma anche perché due giorni fa, dal palco del Meeting di Rimini, lo stesso Presidente del Consiglio Mario Monti lo ha citato, chiarendo che quando ha usato quel termine “perduta”, non intendeva affatto dichiarare che la speranza era del tutto persa.



I promotori dell'iniziativa, di cui faccio parte, sono tutti 30/40enni che lavorano nei campi più disparati: liberi professionisti, insegnanti, dipendenti e imprenditori. Siamo tutti già inseriti nel mondo del lavoro da anni, e il nostro manifesto era un modo per renderci visibili anche al di là degli stereotipi che circolano su di noi: siamo una generazione che viene dipinta spesso come un gruppo di eterni immaturi e “bamboccioni”, che aspetta la manna dal cielo di un posto fisso a casa di mamma e papà, o si tiene lontana dalla politica per coltivare il proprio orticello personale e cercare individualmente il successo. Non è proprio così.



Anche se in Italia a 40 anni sei presentato come il perennemente “giovane”, noi siamo adulti: abbiamo costruito le nostre vite spesso dovendo affrontare delle condizioni che erano diversissime da quelle dei nostri genitori, in una società che già era più instabile e precaria; ci siamo già dovuti inventare lavori che fino a pochi anni fa non esistevano, o reinventare in nuove forme quelli “vecchi”, siamo stati flessibili, attenti alle esigenze del mercato, abituati a fare gli equilibristi fra forme di contratti e di collaborazioni atipiche e i giocolieri fra gli orari di lavoro per riuscire a tenere in piedi anche una vita privata e una famiglia. Ci siamo formati competenze, abbiamo acquisito esperienze utili non solo per noi, ma per tutti.



E adesso, se proprio dobbiamo essere noi (come è anche giusto, visto che siamo la parte adulta e produttiva del paese) a sostenere i maggiori costi, non solo economici, per consentire all'Italia di riprendersi, vogliamo però che siano anche fissate e rispettate delle regole base valide per tutti. Perché rimettere in sesto un paese non può essere solo una operazione “matematica” legata al far quadrare i conti: un paese riparte, e le generazioni non si sentono più “perdute” e ancora peggio “prese in giro” se sono certe che da oggi in poi la mentalità di una certa parte del paese andrà fuori corso come una moneta vecchia.



Sogniamo un paese moderno, in cui chi ha voglia di fare e di lavorare trovi spazio per farlo, tutti partono alla pari e in cui chi è competente non si vede ostacolato da incomprensibili pastoie o messo da parte per fare spazio a chi ha appoggi in alto loco. Rivendichiamo, insomma, la necessità di premiare la serietà delle persone che amano il proprio lavoro, in qualunque campo operino, lo sanno fare bene e vanno perciò incoraggiate e premiate, perché è così che un paese avanza e soprattutto che si riacquistano la fiducia, si combatte il disfattismo e si ridà dignità a tutti.



Per ora “Generazione Perduta” non è né un movimento politico né altro. Sull'onda però del successo ottenuto in termini di adesioni, probabilmente si organizzerà nei prossimi mesi per cercare distilare un insieme di proposte concrete e raccogliere idee da mettere poi in pratica. Scoprire che, partendo dal web – questo strumento che per i 30/40enni è ormai un mezzo di comunicazione naturale – dei privati e sconosciuti cittadini come noi possono arrivare ad essere letti e ottenere riscontri anche dal Presidente del Consiglio, è stata una iniezione di fiducia e di ottimismo. Quindi abbiamo intenzione di continuare. Non solo per i 30/40enni come noi. Per tutti.





* insegnante e giornalista veneziana, autrice del blog "Il nuovo mondo di Galatea", scrive anche su Tech Economy
Ultimo aggiornamento: 24 Agosto, 18:08

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