La neurologa friulana che aspetta
il risveglio di Michael Schumacher

Domenica 26 Gennaio 2014 di Marco Agrusti
Un'immagine del Centre Hospitalier Universitaire
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GRENOBLE - L'ospedale di Grenoble, le sette della sera di una domenica di gennaio. Duecento chilometri (poco più) da Torino, da percorrere in auto perché la Tav è ancora solo un progetto. Sembra un altro mondo, se a raccontarlo è una dottoressa, neurologa di respiro internazionale, testimone di una storia di successo, partita da San Vito al Tagliamento (Pordenone) e sbocciata prima in Canada e poi in Francia «perché in Italia non sarebbe stato possibile».

Elena Moro, 49 anni, lavora all'ospedale Chu (Centre hospitalier universitaire) di Grenoble.

Ha una cattedra, da docente universitaria. Ricerca e pazienti, teoria e quotidianità pratica. Una storia che fila via dritta, in salita, ma solo per il livello sempre crescente di responsabilità.

Fino al mattino del 29 dicembre scorso, quando la sua quotidianità, così come quella dell'intero centro ospedaliero universitario di Grenoble, viene stravolta dall'arrivo di un paziente che in poche ore riempirà le pagine dei giornali. In stato semi-comatoso viene ricoverato d'urgenza Michael Schumacher, il campione di F1 più grande di sempre, il mito in rosso Ferrari. È rimasto vittima di un gravissimo incidente sugli sci a Méribel e ancora oggi è in coma farmacologico. Si temono (ma di giorno in giorno i timori si fanno sempre più corposi) danni cerebrali permanenti. I tabloid inglesi parlano laconicamente di "speranze in diminuzione".

Partiamo da Schumi. Dalle condizioni attuali del campione di Formula 1 più amato...

«È stabile. Grave, ma stabile. Per ora non viene svegliato e a seguirlo sono i neurochirurghi dell'ospedale universitario che sono intervenuti nelle prime, drammatiche ore dopo l'incidente. Mentre al momento i neurologi non sono stati direttamente coinvolti. Semmai entreranno in scena più avanti».

Un polo ospedaliero di spicco, quello di Grenoble, ma generalmente tranquillo, che è stato scosso dall'arrivo del campione in fin di vita. Come ha vissuto questa situazione?

«Da subito tanto viavai, con le televisioni di tutto il mondo sotto l'ospedale. Poi sono arrivati tanti tifosi, ma ora è tutto più tranquillo. È stata Corinna, la moglie del campione, a chiedere il silenzio sulle condizioni del marito».

Caso mediatico a parte, racconti di lei, del suo percorso e delle difficoltà incontrate nella realizzazione dei suoi sogni, in Italia e all'estero.

«Dico subito che in Italia non sarebbe mai stato possibile realizzarli. Io adesso mi occupo dei disturbi del movimento, con fini di ricerca, per migliorare la terapia. In pratica svolgo attività di laboratorio affiancata dal contatto con i pazienti».

C’è davvero un abisso tra sistema italiano e realtà d'oltralpe?

«Un solco viene tracciato già all'università. L’Italia è bloccata, non valuta il merito, non supporta l'insegnamento. Nessuno insegna realmente in Italia.

Non si insegna e non si impara».

Cosa significa?

«I posti sono gestiti in modo politico, anche nella medicina. Se non hai appoggi devi aspettare dieci anni, magari invano. In Italia i medici finiscono per essere pagati meno degli infermieri, con la responsabilità, però, che è quella dei medici, con i sabati al lavoro e quant’altro. Si è perso completamente il fascino della professione. Mentre la Francia riconosce chi vale. Se vedono che uno si dà da fare, emerge di sicuro. Capiamoci, anche in Francia la corruzione esiste, ma ciò che mi spaventa è una sensazione. In Italia, chi è più intelligente fa paura».

A chi occupa le posizioni di rilievo e teme l'avanzata delle nuove generazioni?

«Si. Il giovane di talento viene percepito come una minaccia potenziale e viene ostacolato».

A un giovane che oggi si appresta a iniziare gli studi in Italia, cosa consiglierebbe?

«Di andarsene dal Paese. È il consiglio più amaro. Ci vorranno anni e forse non basteranno neppure, per cambiare le cose. Anche i colleghi, nel nostro Paese, si sono incancreniti sulle loro posizioni. Non vedo sbocchi, sinceramente. A un giovane, quindi, consiglierei di andare proprio a studiare all'estero. Magari la laurea in Italia, poi la specializzazione fuori. Ripeto, all'estero il merito conta. Le faccio un esempio: qui a Grenoble abbiamo individuato il profilo di una persona di Perugia, molto brava. La prenderemo noi, in Italia non avrebbe lo spazio che merita».

Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 14:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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