Ucraina, meno profughi ma resta l'emergenza. Loperfido: «Donne e bambini a rischio traffico di esseri umani»

Chiuse da poco due giornate di workshop internazionale a Varsavia per fare il punto sulle misure da adottare al fine di contrastare le attività criminali

Giovedì 29 Giugno 2023 di Giulia Soligon
Ucraina, meno profughi ma resta l'emergenza. Loperfido: «Donne e bambini a rischio traffico di esseri umani»

PORDENONE - Più di 2000 chilometri separano l’Italia dall’Ucraina. Un anno e quattro mesi sono passati dall’inizio della guerra, alla quale fatalmente ci si è abituati. Al punto da sentirla lontana. Se non fosse per qualche episodio che di nuovo la riporta nel dibattito popolare. Eppure il conflitto è vicino. È drammaticamente dentro di noi, in quei 12 milioni di ucraini che da subito hanno varcato i confini della Polonia, primo Paese d’accesso, cominciando a muoversi in tutta Europa in cerca di rifugio e con il rischio di finire nella morsa del traffico illegale. Nella nostra regione da inizio della guerra sono entrate 5977 persone, delle quali 4210 donne, in maggioranza come altrove, anziani e bambini. A oggi il numero di chi ha deciso di restare qui si è progressivamente abbassato, al punto che dallo scorso 31 marzo al 2 giugno (questo l’ultimo aggiornamento disponibile sul portale del Dipartimento della Protezione Civile) si contano in Friuli Venezia Giulia 132 persone, delle quali 69 a Udine, 32 a Pordenone, 21 a Trieste e 10 a Gorizia. Al parlamento polacco di Varsavia si sono da poco chiuse due giornate di workshop internazionale per fare il punto sulle misure da adottare al fine di contrastare il traffico di bambini e donne ucraine. Tredici nazioni presenti, tra cui l’Italia, rappresentata dall’onorevole pordenonese Emanuele Loperfido, incaricato dal presidente della commissione esteri Tremonti in qualità di membro della delegazione parlamentare OCSE.


Il traffico di bambini e donne ucraine

Scappano con quei pochi effetti personali che riescono a portare in quel lungo viaggio, pieno di trappole, ma fondamentalmente arrivano senza niente. E cercano una mano tesa che li possa aiutare. Il rischio che corrono, però, è elevato. Perché quando hai perduto tutto, a tutto sei disposto ad aggrapparti pur di sopravvivere. Ecco allora che uno dei pericoli è quello di cadere nelle maglie della prostituzione o nell’industria della pornografia, macchina manovrata dai trafficanti di esseri umani attivi soprattutto su piattaforme online. Un fenomeno che non tocca direttamente l’Italia, ma altre nazioni sì. Di qui l’urgenza di avere uno sguardo internazionale sulla questione e mettere in campo un piano per ridurne al minimo il rischio. Come spiega Loperfido, «l’esigenza è quella di armonizzare il processo di informazione sia nel trasferimento delle informazioni che nel processo di registrazione». Una linea che nella proposta italiana si traduce con tre misure, accolte e inserite nel documento finale del seminario. Si va dalla creazione di un sito web in grado di fornire informazioni complete, alla promozione di contatti con le comunità ucraine già presenti nei paesi di destinazione, alla mappatura delle piattaforme online ad alto rischio con campagne digitali di sensibilizzazione. Dunque l’obiettivo è rafforzare quel sistema di accoglienza che, per quanto riguarda l’Italia, «è consolidato e con un livello di efficienza tra i più avanzati in Europa, grazie anche al fatto che da sempre il nostro Paese vive il fenomeno dell’immigrazione». Nel caso dei rifugiati di guerra il processo di accoglienza si muove su due binari: da una parte quelli a carico dello Stato, in realtà una piccola parte, dall’altra quelli che si appoggiano a connazionali già presenti sul territorio.

L’Italia può contare su una numerosa comunità ucraina, che si è fatta carico di accogliere chi è scappato dalla guerra. Si tratta della «quarta nazionalità extra unione europea presente nel nostro Paese». Quanto ai rifugiati che gravano sulle casse dello Stato, come si è detto questi sono solo una minima parte. Se si prende come esempio il Friuli Venezia Giulia, da inizio guerra le persone che hanno ricevuto protezione temporanea sono state 5977, delle quali solo 914 ha ricevuto assistenza con oneri a carico dello Stato. A Trieste 292, 355 a Udine, 153 a Pordenone e 114 a Gorizia. Il resto si è integrato e si sostiene autonomamente con un modesto contributo statale.

Dall'Ucraina verso l'Europa, diminuiti i flussi 

Per comprendere l’andamento dei flussi da inizio guerra a oggi basta entrare nel portale del Dipartimento della Protezione Civile. Premesso che i rifugiati in Europa si aggirano intorno ai 6 milioni, di questi 177.257 sono in Italia. «Per l’esattezza, al 5 giugno 173.903» precisa Loperfido con dati più attuali. In buona sostanza, si sta andando verso un calo. Il perché è presto detto. «C’è chi ha scelto la via del ritorno, chi invece ha deciso di spostarsi in altri Paesi in virtù della protezione internazionale che permette loro di muoversi in tutto lo spazio Schengen. Questo può accadere nel caso in cui abbiano trovato una famiglia o un conoscente dove andare o, nel migliore dei casi, una proposta di lavoro» commenta Loperfido, aggiungendo come il numero ancora significativo in Polonia, pari a 1,6 milioni, sia da rapportarsi alla vicinanza linguistica, che consente loro di trovare facilmente lavoro, anche a livelli alti.

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«Finita la guerra, con un contratto di lavoro possono restare»

Gli arrivi diminuiscono, ma l’emergenza umanitaria resta, come testimonia la proroga fino al 31 dicembre 2023. Ma quando la guerra finirà, che ne sarà di loro? Anche su questo aspetto, il contratto di lavoro assume importanza e può essere una soluzione per chi vuole rimanere in Italia. «Come dice la nostra Presidente, c’è il diritto di tornare a casa propria. Finita la guerra e cessata la necessità di protezione internazionale dovuta al conflitto, uno potrà decidere se fare ritorno a casa o, se si è stabilito e ha trovato nel frattempo una occupazione, restare da noi, come qualsiasi cittadino che si è già stabilito qui. Ovviamente rimarrà extracomunitario, perché l’Ucraina non è ancora nell’Unione, ma se ha un contratto di lavoro questo gli consente di restare sul territorio».

Ultimo aggiornamento: 07:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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