CLAUZETTO (Pordenone) - C'è un luogo antico, immerso nel verde del comune di Clauzetto, frequentato dall'uomo preistorico per millenni, che l'acqua ha scavato dall'ultima grande glaciazione, 130mila anni fa. Sono le Grotte di Pradis, più note come Grotte Verdi di Pradis, un complesso di cavità carsiche di varia estensione e profondità, posizionate a più livelli, lungo una profonda forra scavata dal torrente Cosa. L'itinerario è facile, quasi per tutti, grazie a una serie di camminamenti e belvedere ben protetti.
La forza delle acque
Vi si accede da una lunga scalinata fino a superare il ponte sul torrente. Girando a destra si raggiunge una caverna e una galleria lunga cento metri, relitto di un antico corso d'acqua, in seguito "tagliato" dalla forra. Ritornando verso il ponte si prosegue fino al grande Cristo di bronzo e, dopo un arco naturale, forse il punto più bello del complesso di Pradis, si arriva in un boschetto da dove si scorge la confluenza del rio Molàt nel torrente Cosa.
Le scoprì un prete
L'origine di queste grotte è riconducibile all'emersione dal mare dei calcari a rudiste, nel Cretacico Superiore, durante la formazione delle Alpi e, successivamente, alla loro lenta corrosione chimica per effetto del fenomeno del carsismo. La bellezza di questi luoghi fu colta già nel 1921 da don Giacomo Bianchini, parroco di Pradis di Sotto, che ne presagì la valorizzazione. Nel 1965 don Tiziano Cattaruzza giunse a inaugurare la cavità che ospita la Madonnina delle Grotte e, nel 1969, a completare il percorso di discesa al fondo della forra.
Frequentate dal Paleolitico
Di recente è stato realizzato un percorso ad anello sovrastante l'orrido che, attraverso il torrente Cosa, a monte di un antico ponte in pietra, e a valle su una passerella sospesa, offre paesaggi di grande suggestione. Si tratta a tutti gli effetti di un libro aperto sulla geologia e sulla potenza erosiva delle acque meteoriche e correnti. Le Grotte di Pradis sono riconosciute come importante sito archeologico frequentato nel Paleolitico.
Le ricerche archeologiche
Parzialmente svuotate alla fine degli anni Sessanta, queste ampie cavità restituiscono ossa e utensili in selce grazie a diversi scavi eseguiti dall'Università di Ferrara. Una enorme quantità di resti in ottimo stato di conservazione confermano l'interesse dell'uomo preistorico cacciatore e raccoglitore delle pelli e delle carni di marmotta.