Smart working ai tempi del Coronavirus, è una giungla senza regole e con pochi diritti per i lavoratori

Lunedì 4 Maggio 2020 di Davide Lisetto
Smart working ai tempi del Coronavirus, è una giungla senza regole e con pochi diritti per i lavoratori (Foto di TeeFarm da Pixabay)
PORDENONE - L’emergenza Covid-19 sta trasformando in maniera molto veloce anche il mondo del lavoro. Con l’esplosione della pandemia si è diffuso con una rapidità eccezionale anche il cosiddetto smart-working, il lavoro da casa. Per evitare il rischio di contagio tra i dipendenti moltissime aziende – il processo è stato più difficile e lento per gli enti pubblici locali, in particolare i Comuni più piccoli - hanno spedito gli addetti a domicilio dove si sono allestiti uffici e postazioni d’emergenza per continuare a lavorare. Ma una volta finita la necessità di stare a casa in massa è possibile che molte imprese decidano che il lavoro da remoto diventi un’opzione da sfruttare.

IL BOOM DEL TELELAVORO
Un’autentica corsa al telelavoro obbligato dal rischio sanitario ha visto dall’inizio di marzo schiere di “colletti bianchi” (secondo una stima del Politecnico di Milano sono circa otto milioni gli italiani che stanno lavorando da casa, mentre prima erano solo 570 mila) trasformarsi in smart workers. Nel mondo pre-Covid, nel territorio del Friuli occidentale, le imprese di una certa dimensione che utilizzavano il lavoro a distanza erano molto poche. Nonostante si fosse cominciato a parlare – anche nelle normative in materia - di telelavoro fin dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso. Ma è solo con la legge del 2017 che alcune società cominciano a sperimentare lo smart-working. Fra le prime realtà a utilizzare il lavoro da remoto anche Crédit Agricole FriulAdria: oltre un centinaio gli addetti della direzione centrale che, da poco più di un anno, operavano da casa ma soltanto per un paio di giorni alla settimana. Anche tra gli impiegati della Electrolux di Porcia in circa 150 avevano scelto di provare a lavorare da casa, anche in quanto caso per non più di sei o otto giorni al mese. Con l’arrivo del virus non solo le aziende più grandi ma anche quelle più piccole, oltre al terziario e alla pubblica amministrazione, hanno visto nel telelavoro una strada per continuare nonostante la chiusura di aziende e uffici. Un “trasloco” agevolato anche da uno dei primi decreti d’emergenza che semplificava le procedure e toglieva di mezzo la necessità del contratto individuale per svolgere il “lavoro agile” tra lemura domestiche.

RIVOLUZIONE TRA LE SCRIVANIE
La modalità del lavoro agile sembra funzionare. La misura della produttività degli smart workers starebbe portando a risultati positivi per le aziende. Molti lavoratori sostengono di riuscire a conciliare meglio tempi di vita e tempi di lavoro. Ed è per questo che, più di qualche esperto, ritiene che il “lavoro intelligente” possa restare anche dopo l’emergenza Covid-19 e venire in qualche modo strutturato. Molte imprese potrebbero decidere di scegliere l’occupazione online per abbattere costi e snellire pratiche burocratiche. Con i dipendenti che vedrebbero ridurre i costi per gli spostamenti verso il luogo di lavoro. Ma quali potrebbero essere le conseguenze di una massiccia stabilizzazione dello smart working? «Questa esplosione del lavoro da casa cui stiamo assistendo – spiega l’avvocato pordenonese Luigi Locatello, esperto in diritto del lavoro – è dovuta a una grande accelerazione causata dalla pandemia. Seppure normato da diverso tempo nel nostro Paese il telelavoro non aveva mai preso veramente piede. A differenza di quanto avvenuto negli ultimi anni, per esempio, nei Paesi del Nord Europa. Forse noi scontiamo anche un ritardo nelle tecnologie digitali oltre che nell’approccio culturale. Si tratta di una grande opportunità che, per alcune fasce di lavoratori in particolare penso alle mamme o ai papà di bambini ancora piccoli oppure a chi abita lontano dall’ufficio, può portare obiettivamente a dei vantaggi non irrilevanti. Oltre a fare bene all’ambiente se si pensa al minor traffico dovuto agli spostamenti dei lavoratori. Ma è chiaro – aggiunge il giuslavorista – che fuori dall’emergenza il lavoro a distanza necessità di regole e di paletti chiari».

REGOLE POST-QUARANTENA
Finito l’obbligo sanitario di stare a casa sarà necessario aprire confronti, anche sindacali, e stabilire codici che regolino il nuovo lavoro post-quarantena? «Credo che quest’esperienza – prosegue l’avvocato Locatello - cambierà diversi aspetti del mondo del lavoro, anche dentro le fabbriche. Quanto allo smart working saranno necessarie regole precise. Che già in parte la norma prevede. Come il diritto all’eguaglianza della retribuzione e il diritto alla disconnessione. Su quest’ultimo aspetto il lavoratore va tutelato: non può essere chiamato a qualsiasi ora a prescindere dall’orario di lavoro. Il diritto alla disconnessione è stato inserito nell’ultimo e molto recente contratto nazionale dei bancari. Penso poi all’ambito dei possibili infortuni che si possono verificare utilizzando strumenti informatici anche a casa. Inoltre ci sono aspetti legati più al benessere psico-fisico del lavoratore nel momento in cui si trova isolato. Oltre al fatto, ma questo fa parte delle dinamiche sociali, che andrebbe smarrito quel senso di appartenenza anche associativa e sindacale che diventa difficile da perseguire quando ciascuno è chiuso nella propria abitazione. Come, dunque, far valere quei diritti individuali e collettivi legati proprio al lavoro? Insomma un mondo che dovremo scoprire e regolamentare una volta usciti dalla fase acuta dell’emergenza»
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