La "clausura" di mons. Poletto: «La cosa che più mi manca è la visita ai malati»

Lunedì 6 Aprile 2020 di Pier Paolo Simonato
La "clausura" di mons. Poletto: «La cosa che più mi manca è la visita ai malati»
SAN VITO «La cosa che più mi manca, in queste giornate così drammatiche, è la visita quotidiana che facevo ai malati dell'hospice. Il senso di vicinanza che cercavo di trasmettere e quello che mi offrivano loro durante gli incontri erano impagabili. Mi auguro di poterli riassaporare al più presto, in tutta la loro pienezza. Per non parlare del dolore che provo per i morti di Caneva, la mia terra natia. Però guardiamo avanti: andrà meglio».
Monsignor Ovidio Poletto, vescovo emerito, parla dalla clausura della Casa di riposo sanvitese. L'età incalza, ma le sue parole al telefono restano forti e chiare. Solo poche centinaia di metri lo dividono dall'ospedale e dai suoi malati terminali, ma è un confine impossibile da superare, tra leggi, regolamenti e buonsenso. Se l'ottimismo è una dote innata, la fede ben coltivata insegnano le bioscienze può allungare la vita. Così la pandemia non ha fiaccato lo spirito indomito e il vigore del presule cresciuto in una famiglia contadina, che durante il suo apostolato a Concordia-Pordenone ha avviato il Fondo di solidarietà, potenziato la Caritas, creato la Casa madre della vita, sviluppato solide relazioni interpersonali nel clero. Perché l'85enne di Stevenà è uno che non molla mai: se avesse giocato a pallone, sarebbe stato uno stopper grintoso, solido e implacabile nella ricerca dell'obiettivo finale.
Monsignore, come vive questa chiusura al mondo che sta sperimentando insieme agli altri ospiti, agli operatori sanitari e agli infermieri che si sono generosamente auto-isolati con voi, per non rischiare di portare insidie dentro una struttura che offre asilo a oltre 250 persone anziane?
«Mi sento sempre animato dalla luce della speranza. Nella mia identità vescovile, in particolare, cerco di affrontarla come un'esperienza di riflessione ulteriore, da aggiungere al bagaglio che già mi porto dietro. Fortunatamente, finora qui il virus non è mai riuscito a entrare. Ma è meglio se ascoltate gli altri ospiti e non me suggerisce con garbo -. Io sono soltanto uno dei tanti».
Beh, non proprio uno dei tanti. Vita e morte: cosa si può dire sull'eterno dualismo?
«Da ottuagenario, questa situazione mi spinge ulteriormente a ragionare sul senso dell'esistenza. Io ho avuto il tempo di dare una risposta alla mia vocazione attraverso un cammino lungo e articolato, quindi provo un sentimento generale di gratitudine per ciò che ho potuto vivere, anno dopo anno. Purtroppo questa considerazione oggi non vale per tutti: molti, anche nel nostro territorio, hanno dovuto misurarsi da un giorno all'altro con la paura, il lutto e il dolore».
Ma si sente protetto?
«Totalmente. Isolamento e solitudine non sono sinonimi di abbandono. Qui non ci fanno mancare nulla, provvedendo generosamente alle nostre necessità. Gli operatori hanno scelto di rimanere dentro, con noi, per non sottoporci al pericolo possibile. Così per molti aspetti mi sento un privilegiato, quasi immune a tutto ciò che di tragico sta accadendo fuori da queste mura. Non possiamo che ringraziarli come meritano».
Dove va il suo sguardo nel silenzio della sequenza di giorni sempre uguali?
«Cerca di fermarsi su un'analisi retrospettiva, più autentica, della strada che ho percorso per giungere fin qui. Accade, in tempi di bilanci. A maggior ragione per chi si è consacrato a Dio».
E il pensiero?
«Si indirizza verso il giorno che si è fatto breve ma resta pieno, contemplando la fragilità e la speranza».
La sua giornata-tipo, nell'epoca del Coronavirus?
«Da eremita sorride Poletto -: preghiera, lettura, approfondimento. Sto anche facendo ordine nel materiale che ho raccolto in tanti anni: mi aiuterà a vederci più chiaro, andando verso il tramonto».
Il rapporto con i suoi confratelli?
«Forte e saldo assicura l'emerito -. Siamo in 16 e il decano è il 97enne don Giovanni Tassan: pregando e meditando, troviamo tutta la serenità che ci può servire». Poi abbassa la cornetta del telefono e riapre il libro: c'è sempre tanto da imparare e da trasmettere. Anche in mezzo alla tempesta.
 
Ultimo aggiornamento: 13:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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