Africa, il Capodanno speciale
dell'alpino della Julia in missione

Domenica 4 Gennaio 2015 di Emanuele Minca
Luca Vendramini a bangui, capitale della Repubblica Centrafricana
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«Un Alpino in Africa non si vede tutti i giorni». Scherza il caporal maggiore scelto Luca Vendramini. Trentuno anni, nato a Pordenone nel quartiere di Torre, ha frequentato le scuole della città e poi è entrato nell'Esercito. Oggi è un militare dell'8. Reggimento Alpini di Cividale del Friuli (Udine), Brigata Julia. E' uno dei 51 italiani che partecipano all'operazione Eufor in Repubblica Centrafricana.



Settecento militari arrivati da tredici Nazioni dell’Unione Europea schierati a Bangui, per monitorare l'aeroporto di M'poko e diversi quartieri in passato colpiti da violenti scontri e permettere alla popolazione di riprendere la quotidianità e la speranza. A marzo 2015 si concluderà il mandato di Eufor-Rca, per lasciare spazio alla missione Minusca (sotto l'egida dell'Onu) che si sta già schierando su tutto il Paese. «L'arrivo delle forze internazionali a Bangui - spiega al telefono Vendramini - ha scongiurato il rischio di una catastrofe umanitaria in tutto il centro Africa, dopo gli scontri interconfessionali scoppiati alla fine del 2013 che hanno causato migliaia di vittime e l'esodo di oltre un milione di persone».



Come ha vissuto la preparazione a questa missione?

«L’ambiente naturale ideale in cui operano gli alpini é la montagna, ma la versatilità e l'esperienza maturata negli ultimi vent'anni dalle truppe alpine ci consente di essere impiegati in ogni parte del mondo».



È stata una preparazione dura?

«Sì, non lo nascondo, ma l'ho vissuta con grande entusiasmo».



Come si svolge la sua giornata tipo in missione?

«Si inizia molto presto per sfruttare le ore più fresche dalla giornata considerando che le temperature diurne a Bangui possono raggiungere i 40 gradi. Principalmente ci dedichiamo alla realizzazione di opere infrastrutturali utili alla popolazione locale».



Di cosa si occupa in particolare a Bangui?

«Assieme ad altri 50 genieri alpini del 2° Reggimento Guastatori di Trento, contribuisco a realizzare piccoli ponti a passerelle necessarie a garantire la mobilità tra i quartieri. Inoltre, ripristiniamo strade rese impraticabili dal maltempo e dagli scontri tra gruppi opposti nel 2013. E ancora, bonifichiamo canali di scolo delle acque dove proliferano zanzare e insetti, causa della diffusione della malaria, al momento la prima causa di mortalità infantile in Centrafrica. Più in generale, quotidianamente supportiamo con il nostro lavoro sia la popolazione locale che le organizzazioni internazionali schierate nella capitale».



Lavorando in un contesto internazionale europeo, quali sono gli aspetti che l'hanno colpita maggiormente?

«Questa non è la mia prima missione internazionale, ma per la prima volta mi trovo a lavorare in una missione a guida europea. Eufor è appunto l'espressione più diretta dell'integrazione dell'Unione Europea. Potendo contare su contingenti provenienti da tredici Paesi oltre che il supporto e l'appoggio di tutti 28 Paesi membri. C'è molta collaborazione e solidarietà tra i contingenti e si instaurano rapporti umani molto intensi con i ragazzi di altre Nazioni malgrado lingue e culture diverse».



Cosa vi accomuna?

«Passiamo spesso asieme il poco tempo libero parlando di sport, di calcio soprattutto e cercando di imparare qualche parola delle loro lingue. Sto veramente apprezzando la cordialità e la professionalità dei miei colleghi europei».



Come avete salutato l'arrivo del nuovo anno?

«L'attività militare continua sempre, anche la notte di Capodanno, ma prima di mezzanotte c'è stato un buffet internazionale dove ogni contingente ha portato le proprie specialità nazionali. Noi il panettone. Poi il comandante del contingente - il generale francese Jean Marc Bacquet - ha salutato l'arrivo del 2015, sottolineando l'aria di integrazione internazionale che si respira in questa missione».



Un esempio?

«Una buona norma, nata spontaneamente, è che ci si saluta tra militari di diversa nazionalità nella lingua d'origine di chi si incontra».



L'immagine dell'Africa più frequente è un'immagine di povertà e dolore.

«Purtroppo devo confermare quest'immagine di miseria e dolore anche se la caparbietà della gente e i sorrisi dei bambini infondono speranza per un futuro migliore. Girando per le strade di Bangui si notano i disagi lasciati da anni di scontri sociali e l'incertezza politica non aiuta la ripresa della normalità sebbene questa parte del mondo presenta aspetti e culture bellissime. L'assenza di un governo forte e condiviso, di forze di polizia sufficienti, alimentano la diffusione in città della criminalità e bande armate. Una vera piaga per questa gente».



Perché ha scelto la professione militare?

«Dieci anni fa ho coronato il sogno di poter dare il mio contributo al Paese. Una passione nata sin da piccolissimo osservando le parate militari in cui oltre all'Esercito spiccavano le pattuglie in moto dei Carabinieri. Senza una giusta motivazione e una sana dose di entusiasmo, anche l'idea di avere un posto fisso può non essere sufficiente per svolgere questa professione. Essere a servizio della propria Patria, aiutare chi soffre, difendere i più deboli sono motivi più che validi per decidere di vivere una vita in divisa».
Ultimo aggiornamento: 5 Gennaio, 19:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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