Dal banco dei testimoni il sindaco disse che «sarebbe bastata una stretta di mano con richiesta di scuse: sarebbe finita lì». La stretta di mano tra Alessandro Ciriani e Gian Luigi Bettoli non c’è mai stata. Nè prima nè dopo il processo. Lo “scontro” giudiziario tra l’esponente di Fratelli d’Italia e il socio della Casa del popolo di Torre è andato oltre la sentenza di non punibilità dichiarata in primo grado dal giudice Piera Binotto nei confronti di Bettoli, chiamato a difendersi dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa e internet.
LA VICENDA
Pordenone era in piena campagna elettorale quando il 26 aprile 2016 sui vetri della Casa del popolo di Torre comparvero dei manifesti con la scritta “Achtung Banditen”. La reazione di Bettoli non si fece attendere. «Sarà questa la Pordenone futura di Ciriani? Se questo è il clima della campagna elettorale, non vogliamo pensare a cosa potrebbe succedere dopo». Le dichiarazioni rilasciate in merito all’episodio, secondo la Procura avrebbero indotto il lettore a ritenere un nesso tra la scritta e la campagna elettorale di Ciriani, il quale aveva replicato attraverso il suo legale. Il 16 maggio, inoltre, Bettoli si era fatto sentire su internet con una lunga nota in cui descriveva il candidato del centrodestra come un «neofascista non pentito».
IL GIUDICE
Per il Tribunale di Pordenone non è punibile chi agisce in un contesto di provocazioni reciproche e ha riconosciuto che ha agito in uno stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui. «Nel caso di specie - aveva scritto il giudice nella motivazione della sentenza - è indubbia la violazione delle regole di civile convivenza, avvenuta sia attraverso l’affissione di volantini anonimi tendenti a delegittimare e intimidire la Casa del Popolo come simbolo dell’antifascismo pordenonese, sia attraverso il silenzio del candidato sindaco Ciriani e della sua lista civica rispetto all’episodio specifico».
LA DIFESA
Ieri l’avvocato Malattia ha ricordato che Bettoli aveva espresso un legittimo diritto di critica politica e che dare del fascista a qualcuno non costituisce un insulto, a dirlo è la stessa Cassazione. Usare il termine nei confronti di un politico non è reato perché si deve ritenere «espressione di una critica politica, aspra, ma del tutto legittima», una sintesi «per paragonare il modo di amministrare la cosa pubblica a una prassi ben nota»: quella del Ventennio. Secondo la Suprema corte, sarebbe invece offensivo dare del «fascista» a un comune cittadino, perché sarebbe come dargli dell’«arrogante e prevaricatore». Malattia ha anche ricordato come, durante l’allora campagna elettorale, nei confronti della Casa del Popolo vi fosse una «situazione di aperta e condivisa aggressione» generando un «clima tale da giustificare uno stato d’ira». I volantini l’anno precedente erano stati preceduti da striscioni come «25 aprile lutto nazionale», affisso il giorno della Liberazione, o «Prendeteveli a casa vostra» riferito ai migranti. Fino a quell’Achtung Banditen di hitleriana memoria.