Sacrifici umani: quel mistero delle tombe dei veneti antichi - Foto

Venerdì 8 Dicembre 2023 di Tiziano Graziottin
Sacrifici umani: quel mistero delle tombe dei veneti antichi

Lo dicono a mezza voce, da studiosi seri vanno con i piedi di piombo e si limitano a parlare di ipotesi, suggestioni che dovrebbero essere supportate da riscontri e da un rosario di elementi oggettivi che oggi non ci sono. Ma il dato di partenza nudo e crudo legato allo scavo e all’analisi di alcune tombe della necropoli preromana di Padova (VII-VI secolo AC) apre la strada al dubbio: quei corpi sepolti in modo totalmente differente dagli altri, rannicchiati, in un paio di casi con le mani che sembrano legate, possono essere riconducibili a una situazione punitiva? Ovvero, veneti del primo millennio avanti Cristo che erano stati condannati a morte o peggio vittime di sacrifici umani?

 

QUELLE STRANE SEPOLTURE


«Abbiamo alcune situazioni su cui al massimo possiamo coltivare un sospetto - spiega Giovanna Gambacurta, professore associato di Etruscologia e Archeologia italica a Ca’ Foscari - per l’anomalia che presentano alcune sepolture a inumazione (peraltro nel complesso poche a fronte della gran parte a incinerazione, ndr). In pochissimi casi abbiamo trovato gli scheletri scomposti, apparentemente gettati nella tomba senza cura, con mani e piedi legati. Certamente sepolture diverse dalle altre, che dimostravano invece attenzione per la posizione del corpo nella classica postura con le mani giunte sul petto o lungo il corpo e per la disposizione degli arredi funebri del sepolto. Supponiamo che possano essere riconducibili a situazione di sacrificio o punizione, ma sappiamo poco o nulla di questa società per poter arrivare a certezze di qualche tipo e non abbiamo prove per sostenerlo.

Noi archeologi non viviamo di certezze...».


 

LE RIVELAZIONI


Un passo indietro: stiamo parlando di quanto stanno rivelando le tombe prelevate agli inizi degli anni ‘90 dalla necropoli tra via Tiepolo e via San Massimo a Padova e incassonate in un magazzino della città, dove da trent’anni a questa parte - peraltro con un lunghissimo periodo di stop - proseguono i lavori di scavo, analisi e restauro degli oggetti funerari. La storia di questo intervento è in parte legata al percorso della professoressa Gambacurta, giovane collaboratrice della Soprintendenza quando l’area in parola fu interessata dai lavori per la costruzione di un edificio dell’Esu di Padova. «Nella consapevolezza che si trattava di un’area archeologica di estrema importanza nel cuore della città - ricorda la professoressa - si procedette prima alla scavo di alcune tombe e poi alla rimozione della gran parte per sistemarle in un magazzino e procedere con calma all’analisi successiva».

LA PROF CAPARBIA

In sostanza, vennero prelevate vere e proprie grandi zolle di terra con all’interno le tombe (solitamente più di una per ogni cassone). Dopo una prima fase di lavori i cassoni sono rimasti per anni “dimenticati” fino a quando nel 2016, arrivata in cattedra a Ca’ Foscari, Giovanna Gambacurta si è messa in testa di tornare a lavorare su quelle tombe dei nostri antenati. «C’erano ragioni di studio importanti - ricorda - ma parallelamente la possibilità di fare didattica dando agli studenti la possibilità di lavorare “sul campo”. Ho avuto il supporto dell’Università di Ca’ Foscari, massima collaborazione dalla Soprintendenza di Padova, l’attenzione di Comune e Regione. Una bella sinergia che ha prodotto risultati importanti: a oggi sono stati esaminati 57 cassoni su 75 e 97 tombe su 120».


 

L’AIUTO DALLA TAC


E tante eccellenze si sono messe a disposizione per ricavare il meglio. «Rispetto agli studi dei primi anni ‘90 abbiamo potuto far leva sulle nuove tecnologie - spiega Gambacurta - grazie ad esempio alla collaborazione con l’Azienda ospedaliera universitaria patavina: attraverso analisi di antropologia fisica e sfruttando la Tac sappiamo ad esempio cosa troveremo all’interno delle tombe e dei recipienti. E ora è tutto informatizzato per effetto del lavoro di un centro di eccellenza come quello di Ca’ Foscari, che ci consente di andare avanti anche con l’idea di ricostruire digitalmente il villaggio».


 

I PALEOVENETI

Proprio perché poco si sa della civiltà degli antichi veneti («non chiamiamoli Paleoveneti - osserva Gambacurta - loro stessi nei secoli pre romanizzazione si definivano Veneti») preziosissime sono le informazioni che arrivano dallo studio della necropoli su una società basata sull’organizzazione delle famiglie. «E’ di straordinario interesse - evidenzia l’archeologa - rilevare come seppellivano, cosa mettevano nella tomba e come aggregavano. Come abbiamo detto quasi tutti i corpi erano cremati, sbarrando quindi la strada all’analisi del Dna. Ma anche qui l’evoluzione della ricerca ci ha dato una mano e l’analisi dei residui basata sugli isotopi dello stronzio ha permesso di capire se il corpo sepolto era nato e cresciuto a Padova o era quello di un forestiero». Una sorta di identikit della composizione delle più antiche famiglie di Padova, pure per molti aspetti rivelatrice. «Le sepolture erano per gruppi, sorta di tombe di famiglia. Ebbene la ricerca ha evidenziato che tra i sepolti di una stesso gruppo familiare spesso c’era uno “straniero”, aggregato di fatto a quel determinato ceppo, con un riscontro collegato anche agli oggetti del corredo funebre che ne certificano l’origine non autoctona. Una prova che attraverso il corridoio delle Alpi Padova integrava i forestieri». Già, ogni epoca ha i suoi migranti.

Ultimo aggiornamento: 16:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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