Andrea Rinaldo, ingegnere ed ex campione di rugby, riceverà il Nobel dell'Acqua: «Fare lo scienziato era il mio piano B»

La cerimonia si terrà il 23 agosto in Svezia: si tratta dello Stockolm Water Prize

Lunedì 19 Giugno 2023 di Edoardo Pittalis
Andrea Rinaldo

Il Nobel dell'Acqua glielo consegnerà re Carlo Gustavo di Svezia nella Sala d'oro, il 23 agosto. Lui avrà un minuto per ringraziare e cercare con lo sguardo la moglie e i tre figli nella platea di mille invitati. Erano, invece, ventimila gli spettatori dello stadio Appiani di Padova che quel pomeriggio di domenica 15 maggio 1977 festeggiarono la vittoria del Petrarca sul Rovigo che valeva lo spareggio per lo scudetto del rugby. Una settimana dopo a Udine i patavini avrebbero vinto. Lui era un seconda linea. L'ingegnere idraulico Andrea Rinaldo, 69 anni, veneziano, campione di rugby, oggi è il professore con la maggiore anzianità di cattedra del Bo'.

Lo "Stockolm Water Prize", il meccanismo di selezione è lo stesso degli altri premi Nobel, gli è stato assegnato "per il suo eccezionale contributo alla protezione dell'ambiente e per aver scritto in modo illuminato su questo argomento". Rinaldo si è inventato la Ecoidrologia, la scienza che studia il rapporto tra l'acqua dei fiumi e le comunità vive, uomini, animali, piante. A metà agosto sarà a Stoccolma: «Dovrò andarci con l'abito adeguato». Lo accompagnerà la moglie Maria Caterina Putti, oncologa pediatra. Lo raggiungeranno i tre figli: Daniele, Carlotta e Tobia che arriveranno dall'Inghilterra, dalla Germania e dal Texas. Insegnano tutti nelle università. Daniele è anche concertista classico.

Ma lei ha pensato all'acqua fin da bambino?
«Sono nato e cresciuto a Venezia, e poi papà Aldo era ingegnere idraulico, aveva lavorato alle bonifiche. È stato anche consigliere comunale per la Dc, uno di quei democristiani di allora che avevano grande passione e spirito di servizio. Mamma Maria Luisa veniva da una famiglia di costruttori marittimi. L'infanzia a Venezia era speciale, ho un ricordo incantato della città. Mio fratello Daniele ingegnere ha rilevato lo studio paterno, l'altro Piero ha fatto il medico negli Usa. Ma la vera scelta è arrivata quando avevo 12 anni e c'è stata l'Aqua Granda. Ho una memoria precisa dell'alluvione, l'acqua che restava sopra il metro e mezzo, e quando è scesa sono rimaste la miseria e la porcheria che si portava dietro. Ci fu un grande dibattito sulla sopravvivenza della città, Vladimiro Dorigo con le sue idee ebbe molto effetto su di me. È famosa la sua polemica con Indro Montanelli al quale contestava l'uso della scienza come una clava per sostenere una tesi politica».

C'era anche il rugby oltre all'ingegneria?
«Mi sono iscritto a Padova in ingegneria, nel frattempo il Petrarca Rugby mi aveva ingaggiato. Venivo dal Cus Venezia in serie B, seconda linea con Cristiano Zennaro, il padre di Marco, l'imprenditore liberato un anno fa in Sudan. Avevo partecipato agli Europei con la Nazionale Under 18, sconfitti in semifinale dalla Francia. Era l'anno della maturità, dovevo star via due settimane nel periodo pasquale, mi diedi ammalato. Per fortuna a scuola non leggevano le cronache del Gazzettino di quel maestro che è Luciano Ravagnani, per il mondo del rugby era come la Treccani, che parlava bene di questo ragazzo veneziano».

Ha vinto scudetti e vestito la maglia della Nazionale?
«Ho vinto tre scudetti col Petrarca, ricordo in particolare quello dello spareggio col Rovigo a Udine. Fu un giorno straordinario per il titolo e drammatico perché a un certo punto incominciò la tempesta: grandine grossa come un uovo e fulmini, uno uccise un tifoso rodigino sugli spalti. Lo venimmo a sapere sul pullman e fu un viaggio di ritorno silenzioso. In quell'anno giocai a Padova la prima partita di una squadra italiana contro i mitici All Blacks. Sono l'azzurro 326, ero nazionale fisso e dopo 4 partite ufficiali mi sono rotto i legamenti crociati, allora non si aggiustavano. Dopo sei campionati col Petrarca ho chiuso. Giocavo con Presutti, Piovan, Baraldo, Bergamasco padre, ci allenava il francese Pardiès. C'era la tradizione della mischia padovana, con me in seconda linea c'era Simone Brevigliero, ancora oggi al telefono ci sentiamo così: "Numero 5?", "Dimmi numero 4". Era il Petrarca di Memo Geremia che era un grande e insegnava la distinzione tra sport e vita».

L'infortunio ha interrotto la carriera sportiva.
«Ho fatto lo scienziato come piano B. Dopo l'infortunio ho preso la laurea con lode e sono andato in America. Il trauma della morte sportiva improvvisa è forte. Ero uno che si allenava molto, per un periodo mi allenavo con l'amico e collega Giovanni Cecconi, lui giocava a calcio all'ala destra. Adesso non serviva più allenarsi, per tre anni e mezzo ho fatto il dottorato di ricerca nell'Indiana, a Purdue. Quell'università mi ha dato tanto, mi ha premiato anche come ex allievo dell'anno, vorrebbero che andassi a lavorare da loro quando andrò in pensione. Devo incominciare a pensare cosa fare dal settembre 2024, quando finirò di lavorare in Italia e in Svizzera contemporaneamente. Nel sistema americano non c'è la pensione per vecchiaia».

Come è stata l'esperienza americana?
«Ho insegnato per diversi anni al Mit di Boston e a Princeton, sono andato con la famiglia e là sono cresciuti i ragazzi. L'America ti insegna ad azzannare un obiettivo e a non mollare. Sono tornato al Bo' dopo il dottorato e sono stato fortunato, dopo sei mesi sono diventato ordinario. Poi sette anni bellissimi a Trento e il rientro nel '92 sulla cattedra del mio maestro Claudio Datei, costruzioni idrauliche. Intanto, ho tessuto collaborazioni con personaggi come Ignacio Rodriguez Iturbe che è stato premiato a Padova e ha ricevuto nel 2003 il Nobel per l'Acqua, ero alla cerimonia».

E la cattedra a Losanna?
«È stata una scommessa. Io sono irrequieto, i miei figli mi chiamano il "Dottor Divago". Losanna è stato un passaggio fondamentale, mi hanno cercato loro nel 2007 per impiantare un laboratorio per la ecoidrologia, mi hanno dato infrastrutture di ricerca straordinarie. Parto ogni lunedì da Padova alle 16.46 e torno giovedì notte. Da 16 anni vado in treno, sulla carrozza numero 1 il posto 73 ormai ha preso la forma del mio sedere. È diventato un ufficio per me, sei ore di concentrazione assoluta, non si prende nemmeno il telefono sotto le montagne».

L'acqua può essere governata? E cosa sarà di Venezia?
«L'acqua distruttrice, l'acqua salvifica. Piene e siccità. Prendiamo Venezia: il suo problema è il controllo dell'acqua alta eccezionale, è portare la discussione sul tema preciso. Non esiste alternativa al Mose che ci dà tempo per ripensare a Venezia tra cent'anni: la Venezia dei nostri nipoti sarà diversa, con un metro e mezzo di acqua in più di medio mare; questo è lo scenario più ragionevole. E non potrà esserci più un porto, e in una città senza fognature come rimarrà l'acqua? E la città resterà in piedi? Il Mose ti dà il tempo per poter pensare a cosa fare del problema cronico che è ancora più grande e questa è forse la maggiore utilità del Mose».

Le polemiche su Greta, il cambiamento climatico e l'alluvione in Emilia Romagna?
«Ho detto, sollevando molto scandalo, che Greta ha ragione. È inutile che fingiamo di non vedere che la crisi climatica c'è ed è colpa nostra. Quello che sgomenta è l'accelerazione di questi fenomeni, se continua questa accelerazione ci saranno piene più intense, siccità, migrazioni. Occorre partire dalla conoscenza del territorio, sito per sito, decidere noi dove avvengono le rotte. Quanto all'Emilia Romagna, si è trattato di un evento eccezionale in una regione dove le cose sono fatte a dovere. Solo che eventi del genere devi aspettarli sempre di più e non sai né dove né come. Gli estremi saranno sempre più estremi, il vero problema è il riscaldamento globale. Se deve diventare ideologico il dibattito scientifico abbiamo perso la guerra prima ancora di combatterla. E non si salva nessuno». 

Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 09:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci