I 60 anni di Nanu Galderisi: «Il mio vero motore? Sempre stato il calore della gente. L'impresa? Lo scudetto col Verona»

Mercoledì 22 Marzo 2023 di Andrea Miola
Giuseppe "Nanu" Galderisi in Piazza a Padova

PADOVA  - Tanti auguri a Giuseppe "Nanu" Galderisi, calciatore biancoscudato del secolo, che oggi raggiunge il traguardo dei sessant’anni.

Campano di nascita, ma ormai padovano a tutti gli effetti, visto che in città è arrivato nel 1989 e qui ha sempre continuato a vivere tra una parentesi calcistica e l’altra, prima da calciatore e poi da allenatore. «Mi sento padovano e quando passeggio nelle piazze mi sento davvero a casa», racconta. 

Ha vinto tre scudetti tra cui quello storico con il Verona, una Coppa Italia e ha conquistato due promozioni in serie A, ma oggi quale sarebbe il regalo più gradito di compleanno? 

«La cosa più semplice al mondo, l’abbraccio delle persone che mi vogliono bene, di mio figlio, i miei cari e gli amici. Il calore che ho vissuto in questi anni rimane la benzina del mio motore e queste sono le cose che restano per sempre». 

Anche perché i regali non sono mancati in una carriera così prestigiosa...
«Credo di avere vissuto momenti veramente fantastici, forti e pieni di energia e passione in ogni situazione e squadra. È il mio modo di vivere la vita, credere fortemente per conquistare quanto sembra impossibile e sapere che non sei mai solo». 

A chi deve dire grazie? 

«A tanti, in primis a chi ha creduto in me. Dalla mia famiglia, abbandonata a tredici anni con molta difficoltà, a Vincenzo Campione, persona che anche ora mi è vicina e che da Salerno mi ha portato alla Juve al provino con l’allora allenatore Vycpalek. Tra gli allenatori Trapattoni e Bagnoli che mi hanno dato tanto sul piano tecnico e umano e i gruppi squadra in cui sono stato, a cominciare dalla Juventus in cui c’era il top del calcio. I vari Zoff, Scirea, Cabrini, Furino, Bettega mi hanno insegnato a stare al mondo, spiegandomi che ogni minuto è buono per vincere. Non dimentico poi il mio storico collaboratore Daniele Cavalletto, persona che ho visto crescere e che rappresenta lo specchio di quello che volevo essere». 

Che ricordi ha, restando a Torino, del presidente Giampiero Boniperti e di Gianni Agnelli? 

«Boniperti mi adorava, gli ho voluto un gran bene ed è stato determinante per la mia vita calcistica e per il mio modo di comportarmi. L’avvocato Agnelli mi considerava la sua mascotte, avevo 15 anni e quando arrivava con l’elicottero, mi prendeva al suo fianco per andare con lui a salutare i giocatori». 

Ci sono scelte sportive che non rifarebbe?

«Un mio compagno più grande, forse proprio Scirea, mi disse “adesso che ho capito tutto non mi fanno più giocare”. È proprio vero, l’età e l’esperienza portano una maturità incredibile, equilibrio, capacità di gestire i momenti difficili professionali e nella vita, cose che ti aiutano a essere più uomo, a fare le scelte migliori e non prendere fregature o commettere errori. Se mi guardo indietro vedo tante cose belle e altre meno, ma quello che ho ricevuto da ogni piazza in cui sono stato e quanto ho seminato e raccolto mi rendono felice sotto tutti i punti di vista. Ogni cosa è stata fatta con entusiasmo, cuore, passione e sempre al massimo delle mie possibilità, cosa che mi rende molto fiero del mio percorso».

Anche giocare in B con il Padova nel pieno della carriera poteva essere un azzardo... 

«Mi ero talmente legato a quella situazione che non potevo farne a meno, avendo un obiettivo comune con la città e la tifoseria; anche quando mi hanno chiamato altri ho pensato non fosse il caso di andare via perché l’obiettivo era a due passi e noi volevamo raggiungerlo con un grande gruppo e momenti indimenticabili. Se i tifosi mi hanno scelto come giocatore del secolo, magari ho perso qualche anno di serie A, ma ho raccolto qualcosa che nel calcio si sta un po’ perdendo come l’amore e il calore della gente». 

E lo scudetto a Verona? 

«Un altro mondo fantastico in cui si è fatto qualcosa di unico e per sempre. C’era qualcosa di magico».

Come la successiva promozione in A col Padova.

«Ho portato qui l’esperienza veronese e si è creato un altro gruppo fantastico. Sfioravamo la promozione e andavano via i pezzi migliori, ma eravamo troppo legati e sotto certi aspetti imbattibili, fino ad arrivare allo spareggio promozione con il Cesena in cui tutta Padova ero allo stadio di Cremona. E a proposito di stadi, ne ho frequentati tanti, ma la magia che trasmetteva l’Appiani era unica e mai verrà meno».

Nel 2004 ha vissuto la delicata esperienza di un infarto. È mutata la sua filosofia di vita? 
«È stato un passaggio tosto che mi ha cambiato moltissimo e ancora adesso cerco di vivere con grande attenzione. Il tempo fa poi dimenticare certi passaggi delicati e questo può essere un problema perché la vita ti fa correre, cosa che può portare a qualche difficoltà. Però non ho paura, so di potere fare qualsiasi cosa purché con amore e passione e si diventa più pratici e leggeri».

Se non avesse fatto il calciatore? 
«Da piccolino mi piaceva cantare, ma non riuscirei a vedermi in un contesto diverso da un campo verde, una tribuna o in mezzo ai ragazzi». 
 

Ultimo aggiornamento: 16:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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