Fratelli morti nell'incidente a Monselice, gli amici: «Lavoravano tanto, volevano portare la famiglia in Italia»

Mercoledì 27 Luglio 2022 di Giovanni Brunoro
Dall'alto Abderrahim e Mohammed Asbita

MONSELICE - «È morto tuo cugino, vieni a Monselice». Con un messaggio, la tragica notizia raggiunge un parente dei fratelli Asbita. «Sono partito da Verona, mi sono preso un giorno di permesso dal lavoro e sono corso qui dagli amici - dichiara affranto un uomo sulla trentina - Abderrahim e Mohamed erano bravi ragazzi e la loro fine mi ha molto turbato». I due giovani abitavano al primo piano di una casa in via Ippolito Nievo. Un appartamento sobrio e arredata semplicemente, giusto per accoglierli al ritorno dal cantiere e ospitare qualche amico.

Prima di trasferirsi qui, avevano trascorso un po' di tempo a Conselve. Davanti alla porta e sui gradini, ci sono almeno dieci persone, che in silenzio meditano su queste due vite improvvisamente spezzate. Dall'interno, giunge il canto di un muezzin, proveniente da una di quelle applicazioni sul telefono che ricordano, a orari programmati, le cinque preghiere quotidiane degli islamici. Nel mentre, fa capolino un signore vestito con una lunga tunica bianca.

Abderrahim e Mohamed erano «bravi ragazzi, pregavano sempre e si comportavano molto bene». Ogni tanto andavano alla moschea di Monselice, dove già si sta pregando per loro, e osservavano il digiuno prescritto dal Ramadan. Erano arrivati qui in Italia sette anni fa, partiti in cerca di migliori fortune da una città di nome El Kelâa. La chiamano la città dell'olio per via dei tanti ulivi che la circondano: lì abitano ancora i genitori degli Asbita, che sanno già della tragica morte dei loro due figli. La disgrazia, acuita dalla distanza, ha colpito anche la moglie e i due figli adolescenti di Abderrahim, che il 38enne sognava di portare presto qui in Italia. Mohamed, invece, non era né sposato né fidanzato. Qui a Monselice, però, il dolore è condiviso solo dagli amici: Abdul, un altro Abderrahim, Khaled, Yones e Rachid. Nel frattempo, è atteso un altro cugino, partito da Trento una volta finito il lavoro. «Noi siamo così, una grande famiglia - dice uno di loro tra le lacrime - Se qualcuno tra noi è malato o muore, corriamo subito per sostenerci». Chiedono notizie sulla tragica morte dei due amici, leggono i siti di notizie, vogliono capire com'è possibile che Abderrahim, che problemi di salute non ne aveva, abbia perso il controllo della sua macchina e sia finito sotto il cavalcavia. «Tutto si è consumato nell'arco di qualche istante - sospira sconsolato Yonas, arrivato da Ferrara - La vita a volte è così ingiusta. Sono morte due brave persone. Ora purtroppo non possiamo più farci niente».

Lavoravano tanto, partivano da casa all'alba e ritornavano a sera, giusto per riposarsi un po' prima di ripartire. Mai uno schiamazzo, una lite, un comportamento fuori luogo. La dirimpettaia li ricorda come «persone educate, ordinate e tranquille. Non facevamo grandi chiacchiere insieme, però salutavano sempre anche mia nonna e mia mamma». Abderrahim e Mohamed erano due persone ben integrate nel contesto, anche se frequentavano maggiormente la comunità marocchina: sentivano spesso la nostalgia di casa e incontrarsi con dei connazionali era per loro un modo per lenire le sofferenze della lontananza. A causa del lavoro, tornavano in Marocco solo di rado e, con la pandemia, mancavano ormai da anni. Secondo la volontà della famiglia, le salme dei fratelli Asbita torneranno a El Kelâa, dove riceveranno un funerale di rito islamico e saranno sepolti nel cimitero cittadino. Il consolato marocchino ha già avviato le pratiche e le salme partiranno non appena ricevuto il nulla osta dalle autorità italiane.

Ultimo aggiornamento: 19:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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