Riaperture, 32mila imprese già pronte. Confapi: «Ma siamo in ritardo»

Lunedì 27 Aprile 2020 di Gabriele Pipia
Riaperture, 32mila imprese già pronte. Confapi: «Ma siamo in ritardo»
PADOVA - Lunedì quattro maggio. Tutto ruota attorno a questa data, indicata dal governo come inizio della fase due e attesa da tanti imprenditori come un pozzo d'acqua nel deserto. Da Palazzo Chigi non è ancora stato ufficializzato il nuovo decreto, ma tra una settimana a ripartire sarebbero le aziende del manifatturiero, quelle delle costruzioni e una parte significativa dei servizi. Tradotto: 32 mila imprese padovane sono pronte a riaprire i battenti, per un totale di 112 mila lavoratori. Il quadro emerge dall'analisi di Fabbrica Padova, centro studi dell'associazione Confapi (Confederazione della Piccola media industria). Molti imprenditori iniziano a vedere la luce in fondo al tunnel, ma nel dipingere il panorama il presidente Carlo Valerio non usa certo solo toni entusiasti: «Ogni giorno perso pesa 87 milioni nel Pil del Padovano, incidendo su occupazione e quote di mercato. Ora è in gioco la sopravvivenza del nostro sistema economico». Tutti attendono di leggere il nuovo decreto, ma da ciò che trapela le imprese potranno rimettersi in moto il 4 maggio se saranno in possesso dei protocolli di sicurezza adeguati: mascherine, guanti e igienizzanti, ma anche un maggior distanziamento tra gli addetti e la riorganizzazione dei turni di lavoro.

I DATI
Confapi snocciola una lunga serie di dati. «Il decreto del 22 marzo, con cui sono stati stabiliti i codici Ateco delle imprese che potevano restare aperte senza la necessità di alcuna autorizzazione, ha fatto sì che 59.465 imprese della provincia potessero rimanere o tornare all'attività. A queste ne vanno aggiunte poco meno di ottomila che hanno fatto richiesta alla Prefettura di restare operative in quanto parte della filiera essenziale. Ne consegue che circa 50 mila delle 117.888 imprese registrate dalla Camera di commercio al 31 dicembre 2019 hanno abbassato le serrande». Tra queste, 14.212 sono nel settore industria. Per i negozi al dettaglio, alcune forme di servizi e per circa seimila bar e ristoranti occorrerà invece attendere, anche se per quest'ultimo settore esiste la possibilità di offrire il servizio per asporto: si parla di una graduale ripartenza a cavallo tra maggio e giugno.

L'APPELLO
«L'andamento della curva epidemiologica dimostra che il senso di responsabilità dei veneti ha dato i suoi frutti. Ora - dichiara il presidente di Confapi Padova Carlo Valerio - serve che nel rispetto della salute e della sicurezza le aziende possano tornare a lavorare. Ne va della stessa sopravvivenza della nostra economia». Guardando indietro, Valerio scuote la testa: «Alle aziende in sicurezza doveva essere data la possibilità di riaprire prima, senza badare ai codici Ateco ma alle loro effettive condizioni. Non dimentichiamo che solo la nostra provincia produce circa 32 miliardi di Pil all'anno. Sostanzialmente, ogni singolo giorno a Padova vale 87,67 milioni di euro di prodotto interno lordo».

IL FUTURO
Lo sguardo è rivolto al quadro presente, ma anche al sistema produttivo di domani. Confapi stima che «se il calo del Pil nel 2020 sarà effettivamente pari all'8,1% ipotizzato nella bozza del Def dal governo, la provincia di Padova produrrà ricchezza per circa 2,6 miliardi in meno rispetto al 2019. E se il rimbalzo positivo sarà del 4,7% nel 2021, comunque si ritornerà a un ammontare del Pil di 1,2 miliardi inferiore rispetto a quello pre-epidemia».

A premere per una ripartenza, analizzando i dati, è anche il direttore Davide D'Onofrio: «Sono almeno cinque le ragioni che ci spingono a dire che alle aziende in sicurezza doveva essere concessa la possibilità di riaprire prima - ragiona - La prima: il nostro territorio vive di export, che ha un peso di 10,2 miliardi di euro solo nel 2019. E, se non ripartiamo rischiamo di essere tagliati fuori dalle filiere internazionali. La seconda: le nostre aziende non possono ricorrere più a lungo agli ammortizzatori sociali, il cui costo incide molto di più per le piccole rispetto alle grandi aziende. La terza: ulteriori indebitamenti rischiano di minare alle fondamenta le pmi. La quarta: un fermo ulteriore deprimerebbe ulteriormente una domanda interna già bassa. La quinta: la finanza pubblica è già allo stremo». Cinque punti per un appello: «Ripartiamo. In sicurezza, ma ripartiamo».
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