Suor Donatella, un angelo veneto
a Betlemme nell'ospedale pediatrico

Domenica 25 Ottobre 2015 di Francesco Antonini
Suor Donatella, un angelo veneto a Betlemme nell'ospedale pediatrico
Il mitra del soldato israeliano con la barba bionda non è per nulla rassicurante, eppure al check-point numero 300 tutto fila liscio: veniamo dall'Italia, dunque siamo classificati come turisti o pellegrini, e non ci chiedono neppure i documenti.

A Betlemme il traffico è caotico, simile a quello della vicina Gerusalemme, ma bastano cinque minuti di strada per raggiungere il Caritas Baby Hospital. Dove dal 2004 vive, opera e soffre assieme ai più deboli suor Donatella Lessio. «Perché sono qui? Solo perché noi terziarie francescane abbiamo il voto di obbedienza», spiega con un sorriso la religiosa veneta, che ha 53 anni ed è nata a Bassano: «Undici anni fa lavoravo a Padova, dove seguivo i malati terminali di Aids. Era un'esperienza che mi aiutava a crescere come persona. Ma la madre superiora mi chiese di venire a Betlemme, dove si era liberato un posto adatto a me, visto che sono infermiera. Io non ne avevo proprio voglia, ho preso tempo per una settimana sperando che mi venisse in mente qualche buona ragione per rifiutare. Ma non c'era».



Così suor Donatella, che semmai aveva pensato al Sudamerica come terra di missione per via della madre brasiliana, si ritrova sul fronte della Palestina, nella città dove duemila anni fa nacque Gesù e dove dal 2003 un muro impedisce agli abitanti, palestinesi, di uscire dalla propria città senza un permesso dell'autorità israeliana.

Una specie di prigione a cielo aperto che non fa sconti ai bambini: «Il Caritas Baby Hospital è l'unico ospedale pediatrico in tutto il territorio palestinese, la cosiddetta West Bank - ci spiega Donatella, direttrice del settore formazione - ed è naturale che da noi arrivino casi gravi, anche da molto lontano. Abbiamo 4 reparti tra pediatria, neonatologia e terapia intensiva, ma la chirurgia non possiamo permettercela. Se c'è bisogno di un'operazione dobbiamo portare il bambino a Gerusalemme». Dove la collaborazione con i medici israeliani è ottima, ma c'è il problema di quel maledetto muro, e del check point numero 300 da attraversare per andare "di là".

«Il permesso è necessario anche per i bambini che si devono operare - si rammarica Donatella - perché Israele non ha ancora concesso un corridoio umanitario nonostante l’abbia chiesto anche il Papa. Così capita che per il pass si debba aspettare dai 7 ai 15 giorni. Una volta un bambino che veniva da Gaza e che era veramente grave ha dovuto aspettare un mese e mezzo. Ma ce l'ha fatta».

Non sempre va a finire bene. E proprio uno di questi drammi, che meglio di ogni altro esempio spiegano la crudeltà delle guerre, è all'origine della nascita del Caritas Hospital. Siamo nel 1948, ai tempi della prima guerra arabo-israeliana, e il sacerdote svizzero Ernest Schnydrig viene mandato dalla Caritas nei campi profughi di Betlemme: di notte, durante una tempesta, vede un padre scavare una buca per seppellire il figlio, morto «perché qui non ci sono ospedali per i nostri bambini». Tornato in patria, convince la Caritas a creare il primo nucleo dell'ospedale, nel 1952. Oggi ci sono 82 posti letto, 4000 ricoveri e 35mila visite ambulatoriali all'anno.

Tra medici e infermieri l'ospedale, gestito dall'associazione svizzera "Aiuto ai bambini di Betlemme", impiega 238 dipendenti, tutti palestinesi, «metà musulmani e metà cristiani. E vi posso assicurare che non c'è alcun problema di convivenza, esiste un Islam diverso da quello che ci mostrano. L'ospedale è gestito da una istituzione cristiana e noi i crocifissi li teniamo: vi assicuro che nessuno ci ha mai chiesto di toglierli. E credo che anche in Italia sbagli chi vuole farne a meno. Papa Benedetto, che è venuto qui nel 2009, ha detto che siamo una lanterna accesa che mostra la possibilità di convivenza».

Donatella vive immersa in questo nuovo mondo, ma non ha dimenticato la sua terra: c’è uno scambio costante di medici e infermieri con il dipartimento pediatrico dell’ospedale di Padova, e medici volontari arrivano di frequente, specie dall’Italia e dalla Germania. «La provvidenza esiste, eccome - assicura la Lessio - Noi non andremmo avanti senza le donazioni: i pastori e i magi di oggi sono i nostri benefattori». Solo così l’ospedale può permettersi di richiedere alle famiglie un rimborso simbolico (20 euro) per la degenza, in un Paese dove la sanità è tutta a pagamento.

E i rapporti con gli ebrei al di là del muro? Rari. Ma un episodio suor Donatella non potrà mai dimenticarlo: «Una famiglia ebraica portò qui il suo bambino che si era ammalato all’improvviso e non poteva aspettare di raggiungere Gerusalemme. Si vedeva subito che mamma e papà erano terrorizzati. L’abbiamo curato in day hospital salvandogli la vita e alla fine la madre mi ha detto, in lacrime: "Pensavo che me l’avreste ucciso... Ora tornerò e dirò ai miei amici che i palestinesi non sono tutti terroristi"».
Ultimo aggiornamento: 26 Ottobre, 08:10

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