Padova. Minorenne uccise il padre, Alberto libero dopo cinque anni

Martedì 25 Ottobre 2022 di Marco Aldighieri
La villa del dramma a Selvazzano
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SELVAZZANO - Quel pomeriggio di cinque anni fa, era il 24 marzo del 2017, ad appena sedici anni ha ucciso il padre Enrico Boggian con un colpo di carabina alla nuca. Oggi Alberto, compirà 22 anni il prossimo 3 di novembre, è un uomo libero. Si è rifatto una vita e lavora a Roma per l’azienda di una zia.

I giudici della Corte d’Appello di Venezia, sezione penale minori, hanno sentenziato il “non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essersi estinti i reati grazie all’esito positivo della messa alla prova”. Alberto, appassionato di tennis, sia ai carabinieri e sia al pubblico ministero aveva sempre dichiarato «...Volevo fare solo uno scherzo al mio amato papà, sapevo che la carabina del nonno aveva la sicura...». Dal maggio del 2019, dopo avere scontato diciotto mesi dietro alle sbarre del carcere minorile di Treviso, è stato ospite in una comunità protetta nelle Marche. La giustizia minorile, in primo grado lo ha condannato a dieci anni e 8 mesi di reclusione.

La Corte d’Appello invece ha accolto la richiesta della difesa, affidata all’avvocato Ernesto De Toni, concedendo all’ex campioncino di tennis la messa alla prova. Alberto si è impegnato a fondo negli studi riuscendo a diplomarsi. In questo lasso di tempo il processo a suo carico è stato formalmente sospeso. Al termine dei tre anni l’equipe di esperti (un’assistente sociale, un pedagogo e una psicologa) ha accertato se il programma di messa alla prova è stato rispettato. In questo caso il responso è stato positivo e i giudici lagunari si sono espressi a suo favore.

Prima di ottenere la messa alla prova Alberto, nell’udienza del tre maggio del 2019, aveva dichiarato: «Voglio intraprendere questo percorso per capire quello che ho fatto le cui motivazioni ancora non riesco a comprendere. Voglio cercare di costruire rapporti con la mia famiglia in maniera più autentica affrontando anche quello che non va. Sono consapevole del dolore che dovrò affrontare per intraprendere questo lavoro di comprensione. Vorrei poter chiedere scusa a mio padre per quello che ho fatto consapevole del perchè l’ho fatto. Mi impegno a seguire le prescrizioni del programma che mi è stato proposto e di quello che verrà dettagliato in seguito. Volevo chiedere scusa a mia mamma, a mia zia, a mia sorella a tutti voi. E a mio padre». Alberto il 26 marzo e il primo aprile di quest’anno è andato a pregare sulla tomba del padre e per la prima volta, dopo il delitto, ha avuto un colloquio telefonico con la nonna paterna.

L’omicidio

Quella giorno, era un venerdì, Alberto non è andato a scuola a causa di un mal di pancia. Intorno alle 11, dalla sua villetta di via Monte Santo a Selvazzano, si è diretto alla casa del nonno che dista a non più di 300 metri dalla sua. Qui nella camera da letto ha trafugato una carabina calibro 22 Beretta LR ed è rientrato nella sua abitazione dove ha inserito il colpo in canna e ha nascosto l’arma nel bagno della taverna. Il ragazzo ha atteso l’arrivo del padre per pranzare insieme. Terminato il pasto, papà e figlio, sono scesi in taverna per alcuni minuti di relax e si sono seduti sul divano. Enrico Boggian ha acceso il televisore, mentre lo studente si è alzato ed è andato in bagno. Senza farsi notare dal genitore, ha afferrato la carabina, si è messo alle spalle del padre e ha premuto il grilletto Il colpo, secco e forte, alle 13.45 è stato udito da una vicina di casa. Un quarto d’ora più tardi, intorno alle 14, invece di soccorrere il padre agonizzante sul divano con un foro di proiettile nella nuca, ha inforcato la bici del papà e si è diretto in un campo incolto a 200 metri dalla villetta, dove si è liberato del fucile a cui aveva rotto il calcio in legno. Venti minuti più tardi è rientrato a casa e solo dopo oltre 45 minuti ha chiamato i soccorsi.

Non c'era premeditazione

Il pubblico ministero aveva evidenziato, durante il dibattimento in primo grado, la premeditazione da parte di Alberto nel voler uccidere il genitore. Ma i giudici hanno escluso questa aggravante, di fatto sposando in pieno, almeno su questo punto, la linea difensiva. Lo studente era certo che la carabina del nonno avesse inserita la sicura e poi al momento dello sparo aveva tenuto il fucile sotto l’ascella. Quindi con una presa certamente non propria di una persona, che aggiustata la mira, volesse essere certo di colpire il padre. Inoltre Alberto, appena si è accorto della morte del papà, è stato colto da una crisi di nervi tanto da essere sedato una volta entrato in ambulanza. Il giorno stesso del delitto, nel tardo pomeriggio all’interno della caserma dei carabinieri di via Rismondo e davanti al pm della Procura dei minori, l’allora sedicenne ha confermato di avere ucciso suo padre ma, come poi ha sempre ripetuto negli altri interrogatori e in fase dibattimentale, di volergli fare solo uno scherzo.

Ultimo aggiornamento: 26 Ottobre, 11:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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