«Noi i più indisciplinati ai Boot Camp ma avevamo poca voglia di andarci»

Venerdì 27 Novembre 2020 di Alessandro De Bon
«Noi i più indisciplinati ai Boot Camp ma avevamo poca voglia di andarci»
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DIETRO LE QUINTE
Chi lo avrebbe detto al Rettore? Già, perché passare da Hell Raton a Roberto Di Lenarda, se ti chiami Luca Brombal, può essere un attimo. E come avrebbe fatto il ricercatore con la chitarra al collo e la tesi su Springer Thesis ad annunciare al rettore dell’università di Trieste che avrebbe dovuto assentarsi un paio di mesi per partecipare a X-Factor? Luca infatti lo scorso ottobre, insieme ai suoi The Charlestones, ci è andato vicino: audizioni passate e tutti ai Boot Camp, il penultimo passo prima dei live che in queste settimane stanno animando la prima serata dei giovedì di Sky. «È stato strano, non è che morissimo dalla voglia di farlo - racconta Luca - lo scorso gennaio ci hanno proposto di partecipare alle audition, immagino attraverso dei talent scout. Dopo aver accettato hanno iniziato a chiederci di andare a fare dei provini, ma era in pieno periodo Covid e abbiamo sempre risposto di no. Così alla fine siamo andati diretti alle audizioni a Cinecittà. Abbiamo registrato quelle, che abbiamo passato con tre sì e un no (di Hell Raton, ndr) e poi abbiamo registrato i Boot Camp, dove siamo usciti all’ultimo».
Manuel Agnelli è o non è spietato come sembra?
«È quello con cui ci siamo trovati di più. Chiaramente il girato è molto più lungo di quello che va in onda, dopo aver suonato con i giudici ci parli per 10-15 minuti e Manuel Agnelli è indubbiamente quello che ci ha detto le cose più interessanti e intelligenti. E che non sono andate in onda (sorride, ndr). Sembra quasi che tutto il resto debba farlo per forza. Emma invece ci ha detto “mi raccomando, a casa più sesso e sigarette”. Ci abbiamo fatto gli accendini brandizzati della band...».
Il Luca musicista quando nasce?
«A 14 anni, suonando in due band bellunesi, i Bachelite e i Lasy Daysi. Poi a un certo punto avevo anche appeso la chitarra al chiodo, basta: poco spazio, poche prospettive, pochi stimoli. Fin quando, a Trieste, è arrivata la chiamata dei The Charlestones. Erano una band friulano-triestina nota, avevamo aperto i Kasabian e suonato all’Heineken, non male. Volendosi rimettere in piedi dopo un periodo di sosta mi chiesero se volevo suonare con loro. Potevo dire di no? Così sono tornato a bomba in quel mondo, riuscendo a suonare in club e locali importanti delle nostre zone, come il New Age di Treviso e altri palchi che mai avevo calcato. La loro proposta, quel giorno, è stata davvero un regalo».
Ma X-Factor, alla fine, è stata o no una bella esperienza?
«Diciamo che proprio vivendola così, senza alcuna aspettativa e pressione, ce la siamo goduta.

Eravamo i più vecchi e i più indisciplinati; lì le regole tendono a essere ferree, ma con noi funzionava fin là. È stato divertente, ma a conti fatti bene che sia finita così: come avrei detto al rettore che dovevo fermarmi per partecipare a X-Factor?».

Ultimo aggiornamento: 09:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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