Mosca, un addio da signore dopo la mancata conferma: "Lascio a Belluno un pezzo di cuore, ma capisco"

Martedì 31 Maggio 2022 di Alessandro De Bon
Stefano Mosca si appresta a uno dei suoi classici cross mancini

«Capisco, ma vi lascio un pezzo di cuore». Giornalisticamente farebbe più notizia con le parole in quest’ordine, con quel velo di polemica. Per commentare il suo addio dopo 13 anni di serie D in città però, Stefano Mosca ha usato l’ordine inverso: «Vi lascio un pezzo di cuore, ma capisco». Perché Stefano è un signore del pallone. Nessun veleno per il taglio glaciale di un comunicato stampa che in poche righe lo metteva nel mucchio dei “tagli” insieme a ottimi giocatori di passaggio. Senza nulla togliere agli Episcopo o ai Raimondi, parliamo meramente di storia del calcio bellunese. Stefano Mosca non è stato uno tra tanti. E non parliamo soltanto di numeri, degli oltre 40 gol che sommati agli assist ne fanno un esterno da oltre 100 palloni d’oro nella storia della D bellunese. Parliamo di un ragazzo che a piedi e falcata indimenticabili ha affiancato atteggiamento e intelligenza introvabili. «Un comunicato solo per Stefano Mosca sarebbe stato troppo - smorza immediatamente l’ormai ex Dolomiti - va bene così; la riconoscenza l’ho colta dalle tante chiamate ricevute. Le polemiche le lascio ai social».
Cosa pensi?
«Che è faticoso, ma ci sta. Che ho imparato tanto, e dato tutto».
Cosa hai detto al nuovo direttore generale Luca Piazzi?
«Di dirmi le cose fuori dai denti. E lui me le ha dette: con i 4 fuoriquota e altri profili in ballo avrebbe fatto fatica a ritagliare un posto per me nell’organico. Lo rispetto, quando hai determinati obiettivi devi fare delle scelte. Lui è stato chiamato per questo e ha fatto le sue scelte. Cosa gli ho risposto? “Lascio un pezzo di cuore, ma capisco”. Ed è così. Ora devo metabolizzare, fa male. Non per la scelta in sé, per quanto costruito in questi 13 anni. Lascio la mia seconda famiglia, rapporti meravigliosi, importanti. Persone con cui mi vedevo quotidianamente e con cui ho condiviso tanto. Seba (Sommacal, ndr) è mio fratello; non a caso le mie figlie lo chiamano zio».
Cos’è stato il Belluno e cosa la Dolomiti?
«Il Belluno proprio quella famiglia, la Dolomiti l’evoluzione di quella società e di altre due. Giusto così, un progetto ambizioso che spero raggiunga i suoi obiettivi il prima possibile. È il futuro».
Con chi, sapendo che tu non sarai tra quelli?
«Per me le colonne devono essere Daniel (Onescu, ndr) e il Cobra. Partendo da lì il futuro lo può costruire Alex Cossalter, che se sta bene è devastante, fortissimo. La mia fascia invece la lascio a Toniolo, un ragazzo a cui ho voluto dare tanto perché se lo merita. Spero che riesca a trovare un compromesso con lo studio, sarebbe davvero un peccato se lasciasse la Dolomiti; gli lascio la mia fascia, augurandogli che faccia meglio di me».
Chi è stato per te quello che tu puoi essere stato per Toniolo?
«In spogliatoio è fondamentale che ci sia qualcuno che non ti dia un attimo di pace e ti sproni di continuo. Per me lo sono stati Simone Bertagno e Simone Corbanese; mi hanno allungato la carriera».
Il mister?
«Non ce n’è uno, citerei tutti».
L’ultimo con questa maglia, Ferro permettendo, è stato Lauria.
«Lui in campo è uno dei migliori della categoria. E questo può giudicarlo soltanto un giocatore, so quello che dico; con lui credo di non aver mai fatto un allenamento uguale all’altro. Quest’anno ha avuto la fortuna di avere al suo fianco Fregona, che con noi curava più la parte umana. Erano complementari, un’ottima coppia. Se c’era rumore attorno a lui e alla sua posizione? Sì, ma io ho pensato a giocare».
E adesso?
«Sceglierò nei prossimi 15 giorni, mettendo me stesso e la mia famiglia al primo posto».
Il ricordo migliore?
«Le 2 salvezze miracolose nelle prime 2 stagioni (2009/2010 e 2010/2011, ndr). Se fossimo scesi sinceramente non so che fine avrebbe fatto il Belluno. Con il senno di poi sono state 2 imprese. E poi i primi playoff con il Belluno bellunese di Vecchiato, tanta roba».
Il peggiore?
«L’anno dei playout (2018/2019 ndr).

Fu frustrante: giocavamo bene, non segnavamo e alla prima le prendevamo. Dopo il triplice fischio con il St. Georgen nello spogliatoio scesero tante lacrime. È in momenti intensi come quello che nasce quel qualcosa che ora è dura lasciare. L’ultima cena con la squadra, la settimana scorsa, è stata davvero difficile. Ho salutato tutti, ma me ne sono andato presto; faceva troppo male perché sapevo che stava finendo un capitolo enorme. Sapevo che lì, andandomene, avrei lasciato qualcosa. Ed era il cuore».

Ultimo aggiornamento: 1 Giugno, 17:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci